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I valdesi e la diaconia con Idy Diene

«Erano circa diecimila i partecipanti intervenuti al raduno di Firenze indetto dalle comunità senegalesi per ricordare Idy Diene», ha ricordato a Riforma.it Alessandro Sansone, presidente della Diaconia valdese di Firenze e vicepresidente del Concistoro della chiesa valdese della città.

Sabato 10 marzo la Commissione sinodale per la diaconia (Csd) – Diaconia valdese teneva, proprio a Firenze, il Convegno nazionale dal titolo «Diaconia e predicazione» . I partecipanti, in diverse occasioni nel corso della giornata di lavori, hanno ricordato Idy Diene, il senegalese di 54 anni ucciso a colpi di pistola lunedì 5 marzo nel capoluogo toscano e senza un motivo apparente sul ponte Vespucci dal tipografo in pensione Roberto Pirrone.

«I connazionali di Idy – prosegue Sansone – hanno raggiunto Firenze da tutta Italia, le comunità senegalesi si sono riunite per ricordare l’uomo, l’amico, il collega, il marito; si sono riunite per essere vicine alla moglie di Idy, tragicamente vedova per la seconda volta, e per dire “no!” a qualsiasi forma di razzismo e di violenza. Accanto a loro c’erano, oltre ai singoli cittadini, tante sigle di associazioni come l’Anpi e di partiti, tanti fiorentini, tanti italiani giunti da tutta la penisola. Insieme si è voluto dire, e pacificamente, che l’Italia ripudia ogni forma di xenofobia e di razzismo».

Un bell’esempio di solidarietà in risposta a una tragedia. Come chiesa e come Diaconia valdese, invece, avete intrapreso qualche iniziativa?

«Abbiamo innanzitutto espresso il nostro dolore. Idy, poi, lo conoscevo bene da diversi anni. Era una persona dolcissima, un uomo per bene, e non lo dico con retorica. La sua morte, per com’è avvenuta, è stata una ferita immensa per noi amici rimasti, per i parenti e per la moglie. Si è detto sui giornali che la persona che lo ha ucciso, lo abbia fatto perché instabile psicologicamente, e in preda al desiderio di suicidio e che dunque, invece di togliersi la vita, abbia poi deciso di uccidere la prima persona che avrebbe incontrato per strada. Ma Idy non è stata la prima persona incontrata. L’autore ha fatto un lungo percorso a piedi prima di trovare la sua vittima, una persona dalla pelle nera».

Una tragedia ripetuta: nel 2011 un altro tragico evento aveva scosso la città…

«Esattamente, ma la memoria potrebbe andare anche più in là del 2011. Nel 2011, in piazza Dalmazia, zona centrale, un fascista di Casa Pound uccise due senegalesi e ridusse in una situazione di infermità un’altra persona. Tra l’altro una delle due persone uccise era proprio un lontano parente di Idy, che decise nel tempo di risposare quella donna rimasta vedova: oggi due volte vedova, e sempre per mano omicida. Una tragedia nella tragedia».

Citava un episodio ancora precedente…

«Nel 1990, fine aprile, se non ricordo male, in una notte di carnevale, una scorribanda violenta di persone mascherate colpì diversi venditori senegalesi. Anche in quell’occasione, come chiesa valdese di Firenze, rispondemmo con forza insieme a molte associazioni anti razziste e impegnate nell’accoglienza dei migranti. Fu portato avanti uno sciopero della fame importante da parte della comunità senegalese al quale partecipammo come membri di chiesa, e alcuni di noi decisero allora, simbolicamente, di dar fuoco alle carte d’Identità in Piazza della Signoria. Una mobilitazione che portò a sviluppi importanti: la possibilità per i commercianti ambulanti di poter avere degli spazi legali e regolari per la vendita, e la nascita cooperative di lavoratori».

Purtroppo a distanza di tanti anni da quelle conquiste sembra che i problemi non si siano ancora del tutto risolti…

«Firenze vive di turismo e di commercio. La comunità senegalese, che è dedita al commercio ambulante, probabilmente non è vista “di buon occhio…” da una parte della cittadinanza. Questo, però, è un pensiero personale».

In occasione del Convegno della diaconia avete ipotizzato di promuovere una raccolta fondi a favore della moglie di Idy. È così?

«Idy prevedeva di tornare in Senegal tra due o al massimo tre anni per avviare una sua attività commerciale, e dunque di trasferirsi con sua moglie. Oggi credo che una raccolta fondi sia necessaria. Vorremmo attuare questa idea come chiese e magari non solo a livello locale; nel frattempo, abbiamo aderito alla raccolta fondi già esistente. Un comunicato di solidarietà è stato invece mandato alla manifestazione attraverso i nostri rappresentanti che hanno partecipato alle riunioni preparatorie. Tuttavia nel comitato organizzativo si era deciso che non si sarebbero avuti interventi ufficiali».

Qual è stato il segnale, il messaggio, più importante uscito dalla manifestazione del 10 marzo, secondo lei?

«La risposta coesa da parte di tutti, la presenza di amministratori comunali e del sindaco Dario Nardella, che martedì scorso era stato contestato nel corso di un sit-in sul ponte Vespucci, teatro dell’omicidio, e che invece questo sabato è stato accolto con rispetto. Dunque, un segnale forte mostrato non solo alla cittadinanza ma all’Italia intera, per ricordare che certe azioni e certi atteggiamenti non troveranno strade percorribili. E che, qualora si dovessero ripetere, troverebbero la forte opposizione di gran parte della popolazione italiana».

Foto di Massimo Long