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La Svizzera dice no all’abolizione del canone

Gli svizzeri dunque hanno detto no all’abolizione del canone radio televisivo. La consultazione popolare di domenica 4 marzo ha portato alle urne il 54,11% degli aventi diritto, un buon numero per le abitudini elvetiche, anche perché ampio era stato il dibattito nel Paese sull’opportunità o meno di finanziare ancora i mezzi di comunicazione di proprietà pubblica. In Europa il Lussemburgo rimane dunque il solo Paese a non disporre di radio e televisioni statali.

Le percentuali del no sono state molto più elevate di quanto atteso e temuto alla vigilia. Il 71,5% ha scelto di mantenere il canone, con il picco positivo del cantone di Neuchâtel (78,2%) e negativo del Vallese (71,1%). Un segnale forte di attenzione al pluralismo e alla salvaguardia di quei programmi che in un’ottica puramente commerciale faticherebbero a sopravvivere senza un finanziamento da parte dell’ente centrale. In difesa del servizio pubblico si erano schierati in questi mesi associazioni culturali, sociali, e con forza anche le chiese riformate e quella cattolica, preoccupate per la pressoché certa soppressione dei programmi loro dedicati, già ridimensionati negli anni per logiche di razionalizzazione di spese.

Probabile che qualcosa in materia cambierà: si andrà presumibilmente verso una riduzione dell’attuale costo del canone, 391 euro all’anno, non modulati in maniera proporzionale al reddito, con una probabile cura dimagrante che riguarderà strutture e programmi, anche se dal prossimo anno il canone potrebbe venir pagato da tutti, indipendentemente dal possesso o meno di radio e tv in casa, sul modello di quanto accade in Italia da due anni a questa parte.

Ogni anno 1,37 miliardi di franchi svizzeri (1,2 miliardi di euro circa) vengono raccolti tramite il canone, e il 90% di tale cifra viene girata alla Srg Ssr, la compagnia radiotelevisiva svizzera, cui fanno capo 8 canali televisivi, 17 stazioni radio e un portale web. Il budget viene utilizzato in prevalenza per programmi di informazione, ma anche per quelli di intrattenimento, per la musica e per il cinema nazionale (compresa l’organizzazione fra gli altri del festival cinematografico di Locarno. Il 10% restante viene distribuito fra 34 canali radiofonici e televisivi locali e regionali.

Si è trattato dello scontro fra due differenti concezioni della fruizione dei servizi radio televisivi: da una parte i sostenitori dell’ on demand, del pago solo quello che vedo, abituati nell’ultimo decennio a reperire informazioni e divertimento tramite miriadi di modalità di comunicazione alternativi alla radio e alla televisione; dall’altra chi riconosce al servizio pubblico il ruolo anche di operatore culturale, capace di veicolare trasmissioni in grado di offrire visibilità a chi altrimenti faticherebbe ad averne, in un’ottica di pluralismo che difficilmente un servizio privato avrebbe interesse e mantenere.

Molta preoccupazione n questi mesi era stata espressa anche da tutti i responsabili dell’informazione religiosa del Paese, per il rischio pressoché certo di soppressione di tutti I programmi in materia, con un grave rischio per il pluralismo

Come riporta il sito ticinese Voce Evangelica, nella Svizzera francese le redazioni dei programmi religiosi cattolici e protestanti, rispettivamente Cath-Info e Médias-Pro, hanno espresso sollievo all’annuncio del risultato definitivo della votazione sull’iniziativa “No Billag”. «È chiaro che le cittadine e i cittadini hanno votato in maggioranza a favore della solidarietà tra le regioni linguistiche», hanno fatto sapere i due enti tramite un comunicato stampa emesso nel pomeriggio di domenica. «Il voto dimostra pure», prosegue il comunicato, che «il pubblico ha riconosciuto la qualità del lavoro svolto dalla Società svizzera di radio e televisione e la necessità di sostenere un servizio pubblico forte in un’epoca segnata dalla crescente globalizzazione».
Cath-Info, il centro cattolico per l’informazione nella Svizzera francese, e il suo partner protestante, Médias-pro, ringraziano le chiese cattolico romana ed evangelica riformata per l’appoggio espresso durante la campagna che ha preceduto il voto. Sia la Conferenza dei vescovi svizzeri che la Federazione delle chiese evangeliche hanno infatti espresso pubblicamente la propria preoccupazione nei confronti dell’iniziativa che intendeva abolire il canone radiotelevisivo.
«Le prese di posizione delle chiese», hanno affermato i due enti cristiani di informazione, «hanno dimostrato l’importanza che esse riconoscono al servizio pubblico e la fiducia che esse hanno nella qualità della collaborazione, nelle diverse regioni linguistiche, con la Srg Ssr».

La Federazione delle chiese evangeliche in Svizzera Fces ha pure espresso soddisfazione per il chiaro «no» pronunciato dal popolo e lo ha «accolto favorevolmente». La Federazione protestante, ha dichiarato il suo portavoce, Thomas Flügge, riconosce che i cittadini e le cittadine di questo Paese sostengono i propri mezzi di comunicazione di servizio pubblico e apprezzano «un’informazione equilibrata che concede il dovuto spazio alle minoranze e ai gruppi più deboli». Come la maggioranza delle cittadine e dei cittadini, anche la Fces- ha concluso Flügge – crede che la radio e la televisione «non debbano essere lasciate in mano alle logiche del mercato».