img_frontespizio

Licalbe Steiner, alle origini della grafica italiana

Licalbe è l’acronimo dei due nomi, Lica e Albe, un sodalizio unico che ha attraversato la storia del paese; una storia in cui il confine tra vita privata, ricerca formale e attività professionale di entrambi è labilissimo.

Albe Steiner, Alberto Massimo Alessandro Steiner, era nipote di Matteotti; dall’età di 11 anni la sua famiglia è stata perseguitata, i genitori di Albe hanno adottato i figli di Matteotti e da allora, coi cugini, ha cominciato a maturare un profonda coscienza antifascista. Lica, nata Matilde Maria Covo, era figlia di padre ebreo e madre cattolica, uniti in matrimonio civile senza imposizioni da parte del padre nei confronti della moglie, cosa rara nell’800. Purtroppo l’identità ebraica ha fatto si che fosse preso dopo l’8 settembre, quando passò la soluzione finale, e ucciso insieme a due nipoti che sperava di proteggere.

Entrambi, sia Lica che Albe, hanno sempre militato, attraverso la stampa, attività clandestine e associative, contro il regime; dopo l’8 settembre partecipano entrambi attivamente alla Resistenza, Albe come commissario politico di una brigata garibaldina e Lica come staffetta partigiana.

Una vita che li porta in Messico per qualche anno, per poi tornare in Italia nel ’48 e partecipare alla vita politica e culturale del paese. Ma già da prima la loro attività prende piede, quando nel ’33, a Milano, apre lo studio Boggeri, considerata la prima agenzia di pubblicità, grafica e fotografia italiana. Qui passano i nomi più importanti, gli artisti dell’avanguardia europea, ed è un luogo di scambi importanti: Albe ha alcune occasioni di lavoro e di consulenza con questo studio e incrocia i migliori nomi della grafica. Parallelamente, sempre a Milano, si pone l’attività della galleria del Milione in cui Albe espone nel ’44 in una mostra collettiva, con Fontana, Munari, Veronesi e altri, che si chiamerà Disegni Astratti. Partecipa a quel filone artistico che si colloca nell’Astrattismo lombardo. Lica nel frattempo frequenta una scuola d’arte a Besançon.

Questo è il crogiolo nel quale entrambi si formano e si conoscono; una condizione molto vivace, sebbene il regime fascista imponesse un’arte prevalentemente monumentale.

Insieme attraversano tutto il periodo della guerra e della Resistenza e, nonostante la tragedia e l’aver perso dei famigliari, mantengono ferma la loro convinzione di operare non solo attraverso la lotta politica, ma anche attraverso la grafica come necessità di continuare a esprimersi liberamente e in modo innovativo.

Anna Steiner, curatrice della mostra e figlia di Albe e Lica, racconta il percorso espositivo.

«In mostra abbiamo scelto di raccontare, insieme all’opera, la vita di questi due artisti, grazie anche a oggetti faticosamente conservati con l’idea che rappresentassero al meglio la loro storia. Insieme alla parte biografica, vediamo la ricerca privata attraverso molti schizzi, una sorta di appunti di viaggio, e molti studi di forme che venivano sviluppati come ricerca formale. Insieme a questo la mostra espone il lavoro professionale. Loro si sposano nel ’38, l’anno dopo aprono lo studio Lica e Albe Steiner, da cui provengono i primissimi lavori che sono legati al mondo delle avanguardie, in una tendenza che vorrei chiamare Bauhausiana. C’è il periodo messicano e poi i lavori del rientro in Italia, divisi secondo la logica ideata da loro: Albe e Lica avevano pensato che nella grafica esistono tipologie che hanno caratteristiche proprie; per esempio c’è il manifesto, che ha la caratteristica della sintesi, c’è l’editoria e il libro come oggetto, non solo la copertina ma lo studio interno delle pagine nella loro sequenza, i periodici che graficamente necessitano di elementi continuativi che ritornando con regolarità, lo identificano. Infine si tratta la presentazione del prodotto che comprende i marchi, moltissimi sono stati oggetto di studio e non vengono mostrati tanto in se, quanto nel processo per arrivare alla definizione.

Abbiamo cercato di mettere in mostra non solo i pezzi, ma il processo, in modo che il metodo, come dicevano Albe e lIca che si sono sempre dedicato anche alla didattica, essendo chiaro, possa portare a una lettura critica, che diventi un metodo di lavoro capace di essere adottato positivamente da chiunque affronti quell’ambito professionale».

Dopo le tappe a Milano, Firenze, Reggio Emilia presso la sede della ex Sinagoga, la mostra è ora al Mar di Ravenna fino al 2 aprile.