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Il messaggio univoco e concorde della Bibbia

Accanto alle «Opere scelte» di Lutero, Melantone e Calvino, la casa editrice Claudiana ora si è lanciata nell’impresa di un’omologa collana dedicata al riformatore zurighese Ulrico Zwingli (1484-1531). Ciò non vuole dire che traduzioni di Zwingli in italiano finora non ci siano state. È merito di Ermanno Genre, curatore anche di questo volume, di aver già pubblicato due raccolte dedicate agli Scritti teologi e politici (1985) e, assieme a Fulvio Ferrario, agli Scritti pastorali (1996) del predicatore zurighese. Con la nuova collana, però, si delinea un progetto più ambizioso, in cui sarà possibile integrare testi più complessi e atti a far comprendere le radici del ramo riformato del protestantesimo.

È esigente e interessantissima al tempo stesso la lettura dell’Amica esegesi* del 1527. Il testo si colloca nel bel mezzo della discussione sulla Santa Cena, che negli anni tra il 1525 e il 1529 produsse tra Zwingli e Lutero una frattura alla quale sarebbe stato posto rimedio soltanto con la Concordia di Leuenberg del 1973. In modo sintetico e fruibile, Ermanno Genre introduce a questo dibattito. Il testo latino riproduce l’autorevole edizione del Corpus Reformatorum e la traduzione ineccepibile di Marco Zambon, la prima in lingua italiana, lo rende comodamente accessibile. Dal momento che il latino di Zwingli è complesso, questa traduzione è un aiuto interpretativo anche per chi intende consultare la versione originale.

In questo lungo trattato Zwingli cerca di rispondere esegeticamente a tutte le obiezioni che gli sono state poste da Lutero e da alcuni sostenitori di costui. A prima vista, la lettura del testo può sembrare farraginosa. Si tratta di argomentazioni «specialistiche» indirizzate personalmente a Lutero in una sorta di lunga «lettera aperta». Pur condividendo con lui il principio del sola fide, ovvero nella consapevolezza di doverlo difendere nei suoi confronti, Zwingli definisce come anti-cristiana la lettura che il riformatore di Wittenberg dà della presenza di Cristo negli elementi eucaristici. Lutero, da parte sua, non abbasserà il livello del confronto, tacciando il suo avversario di blasfemia e contestandogli il diritto di chiamarsi un «cristiano». Per entrambi i contendenti, le divergenze discusse in questa sede riguardano questioni di verità salvifica e non consentono mediazioni. Diversamente da loro, il predicatore strasburghese Martin Bucero cerca, in parte con successo, di abbassare il livello del confronto.

Quale, però, è stato il nucleo del dibattito? Storicamente, la discussione è partita da una pubblicazione dell’olandese Kornelis Hoen, che proponeva un’interpretazione simbolica delle parole con cui Gesù ha istituito la Cena: «Questo è il mio corpo» e «Questo è il mio sangue». Per Zwingli, questo approccio diventa la chiave di volta per l’interpretazione della Scrittura nel suo insieme. Come leggiamo in Amica esegesi, il distinguo tra la comprensione letterale e quella simbolica gli consente di vedere la Bibbia come portatrice di un messaggio univoco e in questo senso chiaro: «Sono innumerevoli in entrambi i Testamenti i passi che a prima vista presentano enormi contraddizioni e divergenze; ma questi stessi passi, purché li si paragoni tra loro in modo corretto e senza partito preso, [mostrano] che non c’è nulla di più concorde e chiaro di loro» (p. 327). In base alla proposta di Hoen è risolta la tensione tra le parole dell’istituzione e, a esempio, il vangelo di Giovanni, secondo cui «la carne non serve a niente» (6, 63).

Tale univocità della testimonianza scritturale, che in qualche modo prepara il concetto dell’ispirazione verbale, conferma Zwingli in due convinzioni profonde. Anzitutto, la fede – quella che giustifica senza opere – è un evento eminentemente pneumatico, non condizionato da vettori terreni (vedi p. 83, nel confronto con gli autori del Sygramma suevicum attorno a Johannes Brenz). Inoltre, quest’argomentazione rinsalda anche la convinzione di Zwingli circa l’efficacia miracolosamente salvifica della parola di Gesù. In precedenza, Bucero aveva contestato la tesi di Lutero, secondo cui le parole dell’istituzione costituivano una presenza specifica del corpo e del sangue di Cristo, con l’argomento che quando Gesù compie con la sua parola un miracolo l’effetto si fa sempre visibile. Secondo Lutero, questa era una generalizzazione inammissibile; a Zwingli, invece, la lettura simbolica (e non efficace-miracolosa) delle parole dell’istituzione consente di porre in risalto che la fede è fede in interventi visibili di Dio nella storia umana. Anche se non accadono nel proprio presente, la fede afferma che sono avvenuti in passato e da aspettarsi per il futuro, risurrezione compresa (p. 104).

Così l’Amica esegesi evidenzia ciò che separa Zwingli da Lutero, che non ha inteso la chiarezza della Scrittura in termini di univocità testuale e ha anche avuto idee diverse, influenzate da Agostino e dalla mistica renana, circa la rivelazione di Dio («sotto la specie del contrario»). È possibile oggi dare ragione all’uno e torto all’altro? Secondo chi scrive queste righe, una lettura più fruttuosa di Amica esegesi potrebbe nascere dall’interrogativo sui termini nei quali oggi siamo seriamente disposti e in grado di professare un’efficacia di Dio nelle nostre esistenze.

* Huldrych Zwingli, Amica Esegesi (1527), a cura di Ermanno Genre, traduzione di Marco Zambon, testo latino a fronte («Zwingli. Opere scelte», 1), Claudiana, Torino 2017, pp. 451, euro 45,00.

 

Foto: sul lato sinistro del tavolo, in una ipotetica disputa con gli interlocutori cattolici, Luteero e al suo fianco Zwingli.