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Billy Graham: l’annuncio di una vita nuova

«Ho letto l’ultima pagina della Bibbia: andrà a finire tutto bene» (B. Graham). Una storia a lieto fine: questo è l’Evangelo per William Franklin Graham, Jr., meglio conosciuto come Billy Graham. Impropriamente ricordato come «il pastore d’America», egli è stato un instancabile evangelista che ha predicato la possibilità di una vita nuova in Cristo a quasi tutte le nazioni del mondo, compresa la Corea del Nord, raggiungendo negli anni una platea di centinaia di milioni di persone.  

Il 21 febbraio si è spento nella sua casa in North Carolina alla veneranda età di 99 anni. Cresciuto in una famiglia di origine riformata, all’età di sedici anni ascolta la predicazione di un evangelista battista, Mordecai Ham. Vive l’esperienza della nuova nascita; diventa un “born-again”.

Billy è figlio di una fede semplice, radicata in una cultura che vede nella relazione personale col Gesù della Bibbia il suo fondamento. Con questa certezza nel cuore ha attraversato indenne gli ultimi cento anni della nostra storia, diventando una vera istituzione per il mondo evangelico americano e non solo: consigliere spirituale di quasi tutti i presidenti degli Stati Uniti da Truman a questa parte, autore di decine di libri, presenza fissa in radio, tv e riviste, ha avuto un enorme impatto nella cultura religiosa dell’intero globo. L’immagine che molti hanno di lui è quella di un campione degli evangelical; un uomo fermo e sicuro di sé, un predicatore capace di catturare il cuore di folle sterminate.

Tutto ciò è senza dubbio vero. Eppure, a dispetto dei suoi innegabili successi, Billy conserva sempre un profilo modesto, come testimonia il suo incontro con Winston Churchill avvenuto nel 1954 al n.10 di Downing Street. Al grande statista che si congratula con lui per le enormi folle raccolte durante la storica serie di predicazioni tenutasi in quelle settimane, Graham risponde: «Oh, beh, è opera di Dio, mi creda». «Può essere», risponde Churchill «ma neppure io e Marilyn Monroe messi insieme riusciremmo ad attrarre così tante persone», e di nuovo lo incalza chiedendogli cosa abbia attirato tutta quella gente. Graham senza esitazione risponde: «Credo sia stato il Vangelo di Cristo».

Durante tutta la sua vita non crea una sua «mega-chiesa», né da inizio a una sua specifica denominazione, anzi, collabora con tutte le chiese sparse per il mondo, compresa quella cattolica, per portare l’Evangelo laddove non è ancora stato predicato. Pochi ricordano gli ottimi rapporti che intrattiene con la Chiesa di Roma, in particolare col Papa Giovanni Paolo II, o il suo appoggio alla lotta contro il segregazionismo.

Già nei primi anni ’50 Graham contesta l’usanza per cui, durante i suoi grandi raduni i posti assegnati al pubblico risultano divisi da corde: riservati ai bianchi, quelli di fronte, e ai neri, quelli dietro. Resta storico il momento in cui non seguendo risposta positiva da parte degli organizzatori alle sue richieste di rimozione, Billy scende dal palco e va a rimuovere con le sue stesse mani «le corde della segregazione». Durante l’appello finale al suo sermone rispondono migliaia di bianchi e neri insieme, accostandosi ai piedi del pulpito per riconsacrare la propria vita a Cristo.

Leggendaria resta la campagna del ’57 a New York che vede affiancati sul pulpito Billy Graham e il pastore Martin Luther King. Con lui Graham si schiera più volte, arrivando a pagarne le cauzioni. King stesso afferma: «se non fosse stato per il mio buon amico il dottor Billy Graham, il mio lavoro nel movimento per i diritti civili non avrebbe avuto tanto successo».

Ma la predicazione di Graham non assume mai la rilevanza politica e sociale del pastore di Atlanta. Billy resta un Battista del Sud, un conservatore moderato, il terreno su cui giocare la partita della salvezza per lui non è quello politico-sociale, ma quello biblico-spirituale. Ed è qui che, agli occhi di molti, Graham è apparso come un ingenuo, o peggio come l’uomo delle «crociate» (purtroppo così molti americani ancora chiamano i grandi raduni evangelistici): troppo poco critico verso le autorità e vicino all’estabilishment della destra americana; troppo legato a una visione apocalittica della realtà, dove l’impegno attivo per la giustizia economica, ecologica e sociale passa in secondo piano rispetto a quello spirituale.

Di fatto è a lui che si deve far risalire la ridefinizione del movimento evangelico che ha avuto luogo nel Movimento di Losanna, imprimendo a gran parte del protestantesimo evangelico mondiale una forte spinta missionaria e un’importante (ma non estrema) impronta fondamentalista.

A dispetto dell’opinione che si può avere di Graham, non è possibile sottovalutare l’importante esempio che ci lascia nell’organizzazione del lavoro evangelistico e nell’utilizzo di tutti i più moderni mezzi di comunicazione. Del braccio italiano della Billy Graham Evangelistic Association è stato per molti anni responsabile nazionale, Vittorio Sessa, anziano della chiesa battista di Roma-Trastevere, che ricorda quando Graham venne a Roma ed andò ad ascoltarlo assieme al pastore Angelo D’Abramo. Erano gli anni della contestazione e il clima nel nostro paese era a dir poco critico nei confronti dei missionari americani. Graham parlò dell’autorità di Gesù, invitando i pastori presenti a non dimenticare che il Signore li aveva chiamati a pronunciare una parola autorevole, che non può essere imbrigliata da nessuno. Sulla base di questa autorità, Graham si sentì libero di predicare anche laddove tutti gli dicevano che non sarebbe stato possibile né opportuno andare.

Quando uscirono dal locale dove il predicatore americano parlò, Vittorio chiese al pastore D’Abramo cosa pensasse del suo intervento. Il pastore, inizialmente scettico rispetto all’utilità di partecipare a quell’incontro, rispose: «è un uomo di Dio, è un uomo di Dio».