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Accogliete come siete stati accolti?

Non sono soltanto l’Europa e gli Stati Uniti a dover affrontare la questione dei rifugiati, e a oscillare tra accoglienza e respingimenti. Anche lo stato di Israele è stato coinvolto recentemente da un provvedimento che prevede l’espulsione, dal 1° aprile, di 15-20.000 dei 40.000 richiedenti asilo (di cui 5000 bambini), provenienti da Eritrea e Sudan, giunti illegalmente nel paese attraverso l’Egitto. Ne avevamo parlato qui, citando le prime iniziative contro questo provvedimento: le preoccupate dichiarazioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), ma soprattutto la lettera inviata il 25 gennaio al presidente Netanyahu da 36 sopravvissuti alla Shoah e l’azione della rabbina Susan Silverman, che richiamavano l’attenzione sul fatto che il paese ebraico non può rendersi colpevole di una tale azione, proprio per la sua storia di popolo perseguitato, che in passato ha ricevuto rifugio e accoglienza (si è citato il caso della famiglia di Anna Frank, nascosta da amici cristiani).
Lo scorso 16 gennaio, riporta il portale ebraico Moked, sembrava che le cose potessero cambiare, quando un tribunale d’appello di Gerusalemme ha dichiarato che le richieste d’asilo vanno esaminate singolarmente, per non procedere ad espulsioni «di massa» e indiscriminate. In particolare, il giudice Elad Azar ha contestato l’azione dell’Autorità per la popolazione e l’immigrazione, ma anche del Ministero dell’Interno da cui derivano i provvedimenti dell’Autorità, a proposito di un caso specifico. Secondo il Ministero, «il semplice atto di aver evitato o disertato l’esercito eritreo non costituisce di per sé motivo per ottenere lo status di rifugiato». Il tribunale ha dichiarato invece che «l’appellante ha dimostrato con sufficiente validità come vi sia un fondato sospetto di persecuzione a causa delle opinioni politiche attribuitegli dal regime del suo paese per il fatto di aver disertato l’esercito». 
Le condizioni del servizio militare in Eritrea, obbligatorio dai 16 anni per entrambi i sessi e di fatto senza limitazione temporale, sono durissime e paragonabili a una vera schiavitù, fra povertà, violenze e soprusi, come riferiscono organizzazioni quali Amnesty International o Save the Children. Non dovrebbe quindi stupire che molti giovani disertino e cerchino rifugio in altri paesi, e che temano le terribili conseguenze del rimpatrio. Questa situazione nel Paese ha creato «una generazione di rifugiati», come titolava un rapporto di Amnesty della fine del 2015, caratterizzata da abbandono scolastico, matrimoni precoci, disgregazione familiare e sociale, e per l’appunto la fuga all’estero di molti giovani, spesso ancora minorenni. Un’alta percentuale di loro, però, ha visto respingere la propria domanda d’asilo in diversi paesi europei e per l’appunto in Israele, con la motivazione che si tratta di migranti economici.
Per il caso esaminato, la Corte di Gerusalemme ha stabilito la concessione dello status di rifugiato entro 45 giorni. Questa decisione potrebbe avere un’influenza sulle sorti degli altri eritrei colpiti dal provvedimento di espulsione, ma nel frattempo giungono le notizie dei primi arresti. Sette eritrei sono stati fermati per avere rifiutato di lasciare il Paese, come prescrive il provvedimento. In risposta agli arresti, i detenuti del centro di Holot, una struttura creata apposta per i richiedenti asilo quattro anni fa nel deserto del Negev, hanno cominciato uno sciopero della fame. Nella struttura sono presenti 900 persone, di cui 100 hanno ricevuto la notifica di espulsione. Di questo passo, però, le carceri israeliane saranno presto piene: il servizio di detenzione ha già fatto presente di avere al massimo 1.000 posti, mentre il governo dichiara di volere espellere 7.200 profughi.