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Il passato a confronto dell’oggi

Thomas Ashby, proveniente da una famiglia quacchera, dopo essersi laureato a Oxford in archeologia, giunge a Roma con una borsa di studio per la British School at Rome, prestigioso istituto di cultura tutt’ora esistente, diventandone anche direttore fino al 1924. Interessato alle antichità romane, manifesta interesse per la cultura del centro Italia compiendo molti viaggi in Abruzzo, in città come l’Aquila, Chieti, Sulmona. I viaggi coinvolgono anche la Sardegna dove vengono scattate circa 600 foto; 300 di queste fanno parte di un volume dedicato alla ricerca di Ashby e 82 compongono la mostra “La Sardegna di Thomas Ashby. Paesaggi Archeologia Comunità. Fotografie 1906-1912”. Una mostra voluta dall’Istituto Superiore Regionale Etnografico esposta presso il Museo del Costume di Nuoro. Un percorso che mette in comunicazione presente e passato dell’isola agli occhi degli stessi abitanti che si rivedono attraverso l’obiettivo dell’archeologo britannico. Ne parla l’archeologa e curatrice Giuseppina Manca di Mores.

Cosa cercava Thomas Ashby in Sardegna?

«Thomas Ashby, proprio nel primo anno del suo insediamento come direttore della British School at Rome, effettua il primo viaggio in Sardegna; il primo di diversi che saranno compresi tra il 1906 e il 1912. Lui era alla ricerca di un approfondimento sulle culture antiche del Mediterraneo, in particolare quelle preistoriche, e viene in Sardegna dove anche il suo collega, Duncan Mackenzie, archeologo braccio destro di Arthur Evans, scopritore di Cnosso, stava conducendo ricerche.

Ashby arriva in Sardegna e pensiamo rimanga colpito non soltanto dall’archeologia ma da una serie di altri aspetti che in quegli anni, specie rispetto alla cultura, erano molto conservativi. Scatta circa 600 foto non solo di monumenti archeologici: abbiamo raffigurazioni di grandi sfondi paesaggistici, di centri urbani, di costumi, abiti tradizionali, feste, processioni. Uno spaccato che attraversa la Sardegna in diverse sue manifestazioni di quel periodo».

In che modo la fotografia aiuta l’archeologia?

«La documentazione fotografica per l’archeologia è molto importante e, certamente, Thomas Ashby ha prodotto una grande quantità di immagini durante i suoi viaggi. Quello che ci ha colpito è che per la Sardegna, ma anche per l’Abruzzo le cui immagini sono state recentemente edite, c’è stato un taglio un po’ diverso, con un’attenzione molto forte al paesaggio, alle tradizioni popolari e quindi lo spaccato è più trasversale, non soltanto disciplinare ma con un’archeologia in dialogo con l’ambiente. Abbiamo foto delle città, dei paesi, soprattutto delle zone del centro della Sardegna, del nuorese e dintorni, nelle zone minerarie dell’Iglesiente, di Cagliari, di Oristano e di varie parti del territorio con delle inquadrature, a nostro avviso, molto interessanti e vive».

Com’è cambiata la Sardegna e come avete pensato di proporre questa esposizione?

«La Sardegna è certamente cambiata però, in alcune di queste foto, abbiamo ritrovato delle cose comuni e documentazioni che sono molto vicine all’oggi. È interessante vedere i cambiamenti, alcuni non ci piacciono tanto, alcuni sono ovvi dell’evolversi dei tempi.

Il percorso che abbiamo organizzato è venuto man mano che lavoravamo nella documentazione d’archivio per rimettere in ordine e cercare di ricostruire l’itinerario di Thomas Ashby, attraverso la documentazione della British School e i positivi che sono organizzati in album. Abbiamo quindi cercato di ricostruire l’itinerario ma alla fine abbiamo deciso di riproporre la mostra dividendo le aree per sub regioni, proprio per dare quella visione d’insieme che, secondo noi, è la cosa migliore che viene fuori dal lavoro di Thomas Ashby. Quindi, per esempio, tutte le foto dell’Ogliastra o dell’Iglesiente sono insieme, per mostrare di quell’area tutto quello che è stato fotografato: dall’archeologia ai paesaggi, alle città, alle tradizioni popolari».