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Sulle tracce di Ulisse nel Mediterraneo contemporaneo

Se Ulisse dovesse salpare da Troia ai nostro giorni per tornare a casa, gli farebbe sicuramente comodo un telefono. Se volesse poi documentare il suo viaggio avrebbe anche la possibilità di scattare foto, per ricordare, in seguito, le sue tappe e le difficoltà incontrate. È quello che deve aver pensato il fotografo Stefano De Luigi, partito per un progetto composto da dodici tappe senza, per una volta, macchine fotografiche, ma solo con due telefoni cellulari. La tecnologia attuale e l’utilizzo dei telefoni è talmente diffuso nel nostro quotidiano da avere il monopolio del racconto delle nostre vite; hanno cambiato il linguaggio quotidiano e la fotografia, sia nel ruolo che nell’utilizzo delle immagini.

La mostra iDyssey è un unione tra passato, memoria e presente. Un viaggio che potremmo definire come simbolo in un territorio particolarmente complesso in questo periodo: il Mediterraneo, centro della cultura ma anche centro di tante contraddizioni dei nostri giorni. Un viaggio un po’ mitologico raccontato attraverso una tecnologia particolare.

La mostra è esposta fino al 4 marzo negli spazi della Plenum Gallery di Catania, dove il curatore è Massimo Siragusa.

Quali sono state le tappe di questo viaggio?

«Le tappe sono state dodici, da Troia fino ad Itaca, passando attraverso la Tunisia, la Turchia, l’Italia e la Grecia. Un percorso maturato sulle tracce del percorso ipotizzato da un grande ellenista francese, Victor Berard, nel 1933. È stato un viaggio che non vuole assolutamente essere esaustivo di tutto il percorso ma che in qualche modo tocca tutto i punti salienti della saga».

Cosa emerge da questa raccolta di fotografie?

«Il percorso è trasversale perché le foto, anche grazie all’utilizzo del cellulare, hanno una metodologia di approccio molto contemporanea. Sono un misto tra un viaggio nella memoria, fotografie molto intime, di paesaggio, e un percorso di immagini che potremmo definire quasi iconiche dell’ambiente mediterraneo in cui, nello stesso tempo, si intuisce bene la partecipazione dell’autore. Ci sono immagini un po’ più legate a una visione “reportagistica” anche se questo termine non è corretto, ma raccontano anche cosa stava accadendo attorno nel momento dello scatto, la presenza umana, gli elementi più legati alla narrazione della realtà. C’è un dialogo tra quello che accade in quei luoghi e un lirismo visivo molto personale. È interessante la metodologia del fotografo sull’approccio a questo progetto perché si evidenziano, con assoluta certezza e chiarezza, le similitudini tra i vari paesi che si affacciano sul Mediterraneo: somiglianze enormi di visione, di territorio, di materia, di colori, addirittura di odori che in qualche modo immaginiamo possano esserci nel territorio, o della musicalità dei suoni. Trovo che questo sia stato uno dei modi più interessanti di tracciare un percorso del genere che non fosse semplicemente una mera descrizione dei luoghi ma una esaltazione di alcuni aspetti mettendosi in gioco personalmente».

Un progetto volto a esaltare i punti in comune rispetto alle differenze?

«Assolutamente. Questo ci fa capire come molte cose che accadono o molte problematiche che in questo momento sono al centro della nostra attenzione, spesso siano il frutto di una mancanza di conoscenza, di attenzione rispetto a quello che ci circonda. Io trovo che sia fondamentale questa visione e che qui esca fuori con estrema forza. Le divisioni di oggi sono quasi innaturali per questo bacino che è il luogo in cui è nata tutta la nostra cultura e in cui le similitudini sono di gran lunga superiori alle differenze».

Seguendo le tappe di questo percorso è impossibile non pensare all’attualità delle primavere arabe o al dramma dei migranti. Dove sono gli elementi positivi e rinfrancanti per lo spettatore della mostra?

«Direi che tutto questo percorso di Stefano De Luigi ha questo duplice dialogo. Gli elementi rinfrancanti li individuo nelle visioni tranquillizzanti del mare, della natura, della forza delle rovine archeologiche. Abbiamo individuato un percorso, all’interno delle foto di Stefano, che spinge la lettura verso una dimensione diversa rispetto alla sola percezione visiva, ovvero quella temporale. Sono messe in sequenza, ad esempio, una serie di immagini che seguono l’incedere di un’onda verso la spiaggia, il mare che si avvicina e copre la sabbia, oppure delle immagini dello Stromboli che inizia gradualmente l’attività eruttiva fino a tornare a spegnersi. Questa dimensione paesaggistica naturale, dell’incedere del tempo e del prendersi anche il tempo nei confronti della realtà della natura, dell’ambiente che ci circonda, credo sia uno dei messaggi più forti che escono fuori da questo percorso e, da un certo punto di vista, è molto tranquillizzante».