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Papà e mamma Regeni: «il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo ha il sapore di una resa»

«Sono trascorsi sei mesi dalla decisione del Governo italiano di rinviare l’ambasciatore al Cairo. Noi, e con noi tutti quelli che in ogni angolo del mondo hanno a cuore la Verità sul sequestro, le torture e la morte di nostro figlio Giulio, temevamo che questo gesto, sarebbe stato interpretato come una resa incondizionata a quel potere che ha annientato Giulio e che occulta impunemente la verità da ormai due anni».

É l’incipit di una lunga nota che Claudio e Paola, genitori di Giulio Regeni, il ricercatore italiano barbaramente ucciso in Egitto, hanno diramato insieme alla legale Alessandra Ballerini. 

Ed in effetti l’ambasciatore Cantini non aveva ancora fatto in tempo ad insediarsi che «le autorità egiziane – si legge ancora –, forti di questa “normalizzazione dei rapporti” provvedevano a: oscurare il sito della Ecrf, l’Ong alla quale appartengono i nostri consulenti egiziani, arrestare in aeroporto l’avvocato Ibrahim Metwaly, che stava recandosi a Ginevra invitato dall’Onu a riferire sulle sparizioni forzate e sul caso di Giulio (il legale è ancora in carcere, sottoposto a trattamenti inumani e degradanti); – disporre una perquisizione e un tentativo di chiusura della Ecrf». 

La decisione dell’invio dell’ambasciatore al Cairo del 14 agosto scorso seguiva, infatti, e di pochi minuti, il comunicato congiunto delle procure italiana ed egiziana, nel quale si riferiva che era stata affidata ad una società l’attività di recupero dei video della metropolitana e si dava atto di aver concordato un nuovo incontro tra i due uffici «da organizzarsi a breve per fare assieme il punto della situazione».

In realtà, proseguono i genitori e la legale, «I video della metropolitana non sono mai stati consegnati e, a oggi, non si sa neppure se qualche e quale ditta sia stata incaricata del loro recupero. L’incontro tra le due procure poi, diversamente da quanto annunciato, non si è tenuto a breve, ma solo a fine dicembre su insistenza dei nostri procuratori che hanno consegnato ai colleghi egiziani “un’articolata e attenta ricostruzione dei fatti effettuata dalla Polizia Giudiziaria italiana.” 

La Procura generale egiziana si era impegnata, come si legge nel comunicato del 21 dicembre scorso a “proseguire le indagini, sulla base anche delle ipotesi investigative formulate dai magistrati italiani.” Da allora non è stata registrata in realtà nessuna “reazione” da parte della magistratura egiziana sull’informativa italiana che ricostruisce le precise responsabilità di nove funzionari di pubblica sicurezza egiziani perfettamente individuati. Sono passati, da quel 14 agosto, altri sei mesi».

Le atrocità commesse dal governo egiziano, a dispetto della volontà di alcuni, si legge ancora nella nota, «non sono state dimenticate, non solo dal “popolo giallo” ogni giorno più numeroso, ma dalle centinaia di altre famiglie che hanno subito e subiscono continuamente le sparizioni forzate dei loro cari. Se, come ci era stato garantito dal nostro Governo, l’invio dell’ambasciatore, doveva consentire il raggiungimento della verità processuale su “tutto il male del mondo” inferto su nostro figlio, il fine evidentemente non è stato raggiunto e la missione in questo senso è fallita. Non è possibile – accusano papà e mamma Regeni –  normalizzare i rapporti con uno stato che tortura, uccide e nasconde oltraggiosamente la verità, se non a scapito della credibilità politica del nostro Paese e di chi lo rappresenta. Crediamo sia necessario un immediato cambio di rotta. Occorre alzare la voce e pretendere, senza ulteriori indugi, un incontro tra le due procure finalizzato all’immediata consegna dei video della metropolitana e alla concertazione di una strategia investigativa comune sulle nove persone già identificate come responsabili dai nostri investigatori e magistrati. Solo cosi la presenza dell’ambasciatore Cantini al Cairo non avrà il sapore di una resa ma acquisterà la dignità di una pretesa e, possibilmente, di una conquista di giustizia».