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In cammino verso l’unità

La riunificazione fra la Chiesa metodista britannica e l’anglicana Chiesa d’Inghilterra ha fatto un passo in avanti forse decisivo nei giorni scorsi. Dopo un ampio dibattito, il sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra ha approvato un rapporto che si propone di creare e attuare la piena intercambiabilità dei ministri di culto fra le due chiese, muovendosi in questo modo verso la piena comunione, se non la piena unità.

Sebbene durante i lavori sinodali siano state sollevate non poche preoccupazioni a riguardo, alla relazione è stato comunque dato un sostegno schiacciante, ben oltre i due terzi degli aventi diritto al voto fra i tre rami cui si dividono i delegati, cioè i laici, i presbiteri e i vescovi. Ospiti della discussione sono stati due rappresentanti del mondo metodista: Ruth Gee, ex presidente della Conferenza Metodista, che ha parlato della personale «profonda tristezza nel vedere le nostre due chiese non ancora in comunione. Ovunque ci sono distinzioni e divisioni, significa che siamo meno di quanto potremmo essere, e meno di quanto Dio vuole che noi siamo». L’attuale segretario della Conferenza, Gareth Powell, ha suggerito che «John Wesley avrebbe vissuto con rabbia e dolore lo scandalo della separazione».

Per parte anglicana è toccato al vescovo di Coventry, Christopher Cocksworth, guidare il dibattito sul rapporto, e lo ha fatto ricordando il passo coraggioso che «il mondo metodista inglese si accinge a compiere verso la Chiesa d’Inghilterra, nell’accettare per la prima volta che il presidente della Conferenza sia ordinato vescovo nell’episcopato storico».

Ciò significherebbe che d’ora in poi, tutti i ministri di culto metodisti non solo diventeranno pastori ordinati in modo collegiale durante l’annuale Conferenza, ma anche sacerdoti ordinati dal vescovo anglicano. Il presidente della Conferenza diventerebbe un presidente-vescovo e tutti i futuri pastori metodisti verrebbero da esso ordinati. La principale differenza fra le due chiese risiede proprio nella comprensione di come esse devono essere guidate. Le chiese anglicane operano sotto il modello episcopale con i vescovi intesi quali seguaci degli apostoli. Successione apostolica che non è invece parte del panorama metodista, e che invece ora in qualche modo ne entrerebbe a far parte.

Per un periodo tuttavia gli anglicani dovranno sostenere ad interim una situazione anomala, quella in cui gli attuali pastori metodisti, non ordinati episcopalmente, servirebbero comunque anche la Chiesa d’Inghilterra.

Molti interventi dei delegati hanno posto con calore in evidenza i luoghi in cui anglicani e metodisti hanno già lavorato a stretto contatto, come in Cumbria, in cui la diocesi di Carlisle era  ed è in stretta comunione con il circuito locale metodista.

Come detto non sono mancate le voci contrarie, che hanno rimarcato come il nuovo schema andrebbe a minare la tradizionale ordinazione sacerdotale anglicana. Fenella Cannings-Jurd ha avvertito che «il rapporto sembra cancellare le diversità in nome della stabilità». L’arcidiacono di Portsmouth Gavin Collins ha parlato della sua famiglia ecumenica, con fratelli e sorelle sia nella chiesa metodista che in quella battista: «c’è molto lavoro da fare ma la prospettiva dell’unità è un obiettivo troppo importante».

La mozione riconosce che rimane del lavoro da fare per chiarire una serie di aspetti, che nei prossimi messi andranno affrontati per trovare attuazione pratica ai propositi. La relazione si fonda sulla convergenza teologica stabilita dall’ “Anglican-Methodist Covenant” del 2003 e dei successivi input della Commissione congiunta per l’attuazione del Patto. Nel 2014 il Sinodo anglicano e la Conferenza metodista avevano dato mandato ai reciproci organi di presentare proposte che permettessero l’intercambiabilità dei ministri di culti ordinati nelle due chiese. Toccherà anche alla prossima Conferenza metodista approvare o meno il documento, che potrebbe porre fine a 200 anni di separazione fra le due chiese.

 
Foto: St. Paul Cathedral, Londra