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Strade interrotte nel nord-est

La seconda metà del 2017 ha segnato una riduzione degli sbarchi sulle coste italiane, figlia soprattutto degli accordi tra Italia e Libia e dello spostamento del confine sempre più a sud, dalle coste italiane a quelle libiche. Eppure, il flusso di persone che cercano di attraversare i confini lungo l’arco alpino per raggiungere la Francia, il Regno Unito o l’Europa settentrionale, non sembra essere variato in modo rilevante.

Questo discorso vale anche per il Brennero, che mette in comunicazione – o separa, in base a chi tenti di attraversarlo – Italia e Austria.

Alla fine di gennaio il progetto Antenne Migranti, insieme ad Asgi (associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) e alla Fondazione Alexander Langer, hanno presentato il rapporto Lungo la rotta del Brennero, che monitora la situazione dei migranti lungo il principale confine del nord-est, comprese le città di Bolzano e Verona.

Michela Semprebon, sociologa e ricercatrice all’Università Iuav di Venezia che ha lavorato al rapporto, racconta che «con un gruppo di volontari che operano su Verona, Trento e Bolzano è da più di un anno che svolgiamo un monitoraggio lungo la rotta del Brennero, da Verona fino al confine».

Quali sono i punti più rilevanti del rapporto?

«Nel rapporto cerchiamo di mettere in evidenza una serie di violazioni legate da un lato al sistema di accoglienza e dall’altro allo specifico confine. In particolare, il riferimento è ai controlli e alle varie procedure di riammissione, oppure al transito dei migranti nei luoghi in cui si trova il confine.

Nella prima parte raccontiamo quanto è emerso attraverso la nostra osservazione, mentre la seconda, più giuridica, è stata curata da Asgi, con cui abbiamo collaborato. Qui si entra più nei dettagli dal punto di vista normativo, quindi si trovano le indicazioni specifiche sulle violazioni che abbiamo registrato. L’aspetto principale, su cui abbiamo insistito molto, è come ci sia stato di fatto uno spostamento del confine dal Brennero sempre più verso l’interno, verso sud, quindi prima si è mosso verso Bolzano, che è la prima stazione più grande che si trova scendendo dal Brennero, ma oggi arriva fino a Verona, dove cominciano già i controlli. Il transito, gli spostamenti dei migranti, in qualche modo sono influenzatoi da questo, oltre al fatto che i migranti stessi si trovano a essere in qualche modo bloccati in questi vari contesti».

Il governo austriaco a più riprese ha annunciato di voler chiudere il confine con l’Italia per fermare le migrazioni. Questo atteggiamento si traduce in un effettivo cambiamento delle politiche di confine?

«Non è sempre evidente. Se torniamo al 2015, quando c’erano state delle prese di posizione da parte dell’Austria in cui si sosteneva che sarebbero stati aumentati i controlli ai confini, da un lato sembrava non esserci un riscontro, almeno parlando con le forze di polizia, con la polizia ferroviaria con cui siamo in dialogo sia a Verona sia a Bolzano, ma per quanto abbiamo osservato noi un aumento dei controlli c’è stato.

Sicuramente i controlli che vengono fatti e le varie procedure messe in atto sono legate anche al Regolamento di Dublino, ma non è soltanto questo: ci sono varie normative che si sovrappongono e soprattutto va sottolineato che il transito non è solo dall’Italia verso l’Austria e il Nord Europa, ma anche il contrario. Ci sono migranti che dalla rotta balcanica, anziché entrare direttamente in Italia, passano dall’Austria e poi entrano in Italia. Più recentemente, visto che l’evoluzione è continua, abbiamo incontrato dei migranti che arrivano da centri d’accoglienza in Italia, che hanno abbandonato perché le condizioni erano insufficienti. Anche queste persone decidono quindi di muoversi verso il nord».

Questi movimenti secondari sono particolarmente rilevanti lungo l’arco alpino, da Ventimiglia a Como passando per Bardonecchia. La gestione umanitaria di questi fenomeni avrebbe bisogno di una rete collettiva?

«Sì, stiamo cercando sempre di più di avere contatti con le altre realtà che lavorano sui diversi confini. Da questo punto di vista anche Asgi sta facendo molto lavoro e monitoraggio sui vari confini, infatti sta portando avanti anche tutta una serie di riflessioni che in parte sono contenute anche in questo rapporto rispetto agli elementi comuni di questi confini, ma anche molti elementi divergenti, di nuovo sottolineando anche come a fronte di una normativa chiara ci sia tutta una serie di prassi che portano poi appunto a delle forme di violazione. Mi riferisco in particolare a soggetti che hanno forme di vulnerabilità spesso legate al viaggio, ma non solo, possono avere problematiche di tipo fisico, disabilità, se non forme di disagio mentale, e ancora di più questo riguarda situazioni vulnerabili di minori stranieri non accompagnati o di famiglie che aspettano questi passaggi al confine».

Qual è la situazione delle reti civiche di solidarietà nel nord est?

«Ce ne sono tantissime, un po’ come nel resto d’Italia, non solo per l’ampio tema dell’immigrazione. Spesso la difficoltà che troviamo è legata al fatto che c’è molta frammentazione, legata all’impegno molto importante di ciascuno, spesso anche di singole persone che lo fanno sotto forma di volontariato. C’è un lavoro costante nel cercare di mettersi in contatto, cercare di collaborare considerando che ognuno magari fa un piccolo pezzettino che in parte si sovrappone, che richiede appunto però molto lavoro anche di messa in rete. Sono moltissime le realtà attive sia a Bolzano e a Trento, sia a Verona».

Come proseguirà il progetto Antenne Migranti?

«Continueremo con il monitoraggio, che significa prima di tutto entrare in contatto con i migranti nei luoghi di transito, tanto al Brennero quanto a Bolzano. La stessa cosa vale anche per la città di Verona, dove i contatti sono in vari luoghi pubblici, non solamente nelle stazioni, ma anche in altri spazi che abbiamo identificato come luoghi in cui spesso i migranti dormono per strada. Questo riguarda non solo chi cerca di attraversare il confine, ma anche chi resta fuori accoglienza per vari motivi pur avendo diritto di accedere. In particolare mi sto riferendo a chi arriva via terra dalla rotta balcanica e fa domanda d’asilo, ma spesso attende più mesi per poter entrare pur avendo lo stesso diritto di chi arriva dal sud Italia. Questa dimensione continua a meritare attenzione da parte nostra per portare le segnalazioni alle istituzioni e fare pressioni perché effettivamente se ne facciano carico. L’altro elemento che sentiamo in modo sempre più forte è quello della sensibilizzazione e del portare informazione alla popolazione, perché il tessuto associativo è molto forte e ci sono molte iniziative di solidarietà, ma purtroppo sono molte anche le iniziative respingenti, anche molto violente e di chiaro stampo razzista che abbiamo denunciato, compiuti per esempio nei centri di accoglienza, oppure in luoghi simbolici come la stazione».