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Scritti valdesi medievali, un rinnovato interesse

Il prestigioso Trinity College di Dublino ospita il 9 e il 10 febbraio una conferenza sui manoscritti medievali valdesi. Lo scopo è quello di promuovere il dibattito e lo studio di testi ancora poco noti, anche in ambito accademico. Sul sito dell’ateneo irlandese si legge: «Negli ultimi anni la storia dei valdesi medievali e moderni ha goduto di un rinnovato interesse, dando origine a una serie di nuove pubblicazioni. Ci sono tuttavia a livello accademico significative lacune, in particolare per quanto riguarda le edizioni critiche e la circolazione dei testi. Lo scopo è quindi quello di permettere agli studiosi di acquisire una migliore conoscenza della produzione valdese nel contesto religioso medievale e moderno in Europa».

Un appuntamento di alto livello, con una serie di relatori provenienti dall’Italia e da mezza Europa. L’intenzione è quella di tracciare le correnti e le future direzioni della ricerca sui testi valdesi medievali. Saranno presenti fra gli altri Andrea Giraudo, curatore del progetto di pubblicazione dei testi medievali per l’Editrice Claudiana, Sophie Langeneck, fresca di laurea alla Facoltà valdese di Teologia lo scorso ottobre con una tesi in storia del cristianesimo sul rapporto tra movimento valdese medievale e movimento hussita, Lothar Vogel, docente di Storia del Cristianesimo alla Facoltà valdese di Teologia, Marina Benedetti a sua volta docente di Storia del Cristianesimo all’Università di Milano e Marco Fratini della Fondazione Centro Culturale Valdese. Proprio da Andrea Giraudo ci facciamo raccontare il perché di questo interesse del mondo anglosassone alla storia e alla cultura valdese.

«Il mondo anglosassone è depositario di due dei tre maggiori fondi di manoscritti valdesi, uno al Trinity College di Dublino e uno a Cambridge, per un totale di oltre la metà dei codici valdesi esistenti. L’altro grande fondo si trova a Ginevra, mentre manoscritti isolati sono conservati in altre biblioteche europee.

Il Regno Unito è stato storicamente, alla fine del ‘600, un porto di approdo di questa documentazione che si è dispersa da vari rivoli ed è rimasta lì. A Dublino in particolare c’è forse la maggior consapevolezza dell’esistenza di questi testi scritti in lingua d’oc e del loro ruolo, ed esiste a proposito un trascorso di interesse scientifico, di convegni organizzati. Già nel 2011 venne organizzato un convegno su conflitti e società nella Savoia alla soglia dell’età moderna sempre al Trinity, cui aveva partecipato Federico Bo con un intervento sulla collezione valdese nella biblioteca di Dublino. Da allora collaboriamo con il Trinity, c’è stata la digitalizzazione di tre manoscritti; di loro spontanea volontà ne avevano digitalizzati due, senza sermoni, e quando il nostro progetto si è sviluppato, con la casa editrice Claudiana e con i fondi dell’otto per mille valdese e metodista, abbiamo ordinato la riproduzione di altro materiale, immagini su cui lavoriamo e che sono ora disponibili alla visione gratuita in rete. Possono esser visualizzati e visti da tutti con relativo progresso della ricerca, un ottimo investimento a mio avviso».

In cosa consiste l’idea di fondo che guida la pubblicazione dei testi?

«Per la Claudiana sto coordinando un gruppo di lavoro, con la direzione scientifica della professoressa Luciana Borghi Cedrini, già docente di filologia romanza all’Università di Torino. Un progetto che ha radici profondissime, intrecciate nella collaborazione fra ateneo torinese, Claudiana, Società di Studi Valdesi, otto per mille, Facoltà valdese. Un momento di svolta nella cura filologica della letteratura valdese si verifica a Torino quando il grande filologo D’Arco Silvio Avalle, nei suoi importanti studi sulla letteratura occitanica, si interessò anche ai manoscritti valdesi esortando suoi studenti a proseguire. Borghi Cedrini già negli anni ‘70 iniziò a lavorarci. Nel 1979 venne varato un primo progetto di trascrizione integrale di tutti i codici della letteratura valdese, diretto da Enea Balmas; idea molto ambiziosa che si scontrò con difficoltà tecniche, tanto che dopo due volumi, dedicati a due codici che si trovano a Ginevra, non andò avanti. Da allora all’inizio del nuovo millennio lo studio sulla letteratura valdese seguì un andamento carsico, con piccoli saltuari approfondimenti e affioramenti, senza progetti di ampio respiro, perché per affrontare un corpus di una ventina di manoscritti, non enorme, ma non piccolo, con le difficoltà ad individuare le fonti e ad interpretare globalmente cosa siano tutti questi scritti, serve un finanziamento stabile. Poi si rinnova la volontà di prendere di petto la sitauzione: si trova lo strumento economico, i fondi otto per mille, e si dà avvio a questa iniziativa».

Quale ragionamento sta alla base del lavoro che Claudiana darà alle stampe e di cui è stato pubblicato un primo volume?

«Si è deciso di non trascrivere più interi manoscritti uno per volta, ma di affrontare il corpus per generi; il primo è quello dei sermoni, perché era il genere più trascurato, estremamente mal conosciuto nella sua quantità. Il censimento di tali sermoni è stato eseguito nel 2009, e ne sono stati contati 162 unità singole. Da allora in poi tramite manodopera di laureandi della Facoltà di Lettere di Torino vennero affidate delle trascrizioni, primi prove di edizione , e si costruì negli anni un gruppo di lavoro che ha contato fino a 15 unità a vari livelli. Nel 2016 il lavoro è sfociato in questo volume, un saggio campione, che contiene 11 sermoni, quelli che secondo una griglia ricostruita sulla base di alcuni testi, sono riconducibili alla prima e seconda domenica di Avvento, perché si basano su passi biblici che il calendario liturgico assegnava a queste ricorrenze. Si tratta di un primo assaggio. L’anno scorso a settembre a Torre Pellice è stato dedicato un convegno alla letteratura valdese nel suo complesso, compresi anche i manoscritti inquisitoriali, copie di processi ai valdesi. Due documentazioni che in realtà si parlano: nei processi ai barba, i predicatori erranti della prima fase della storia valdese, si trovano infatti elementi di predicazione, con l’inquisitore che fa domande, e le persone che nelle loro risposte offrono uno spaccato sulla teologia valdese. E’ un tentativo di ricostruzione di un patrimonio che fa parte della storia della comunità perché comunque questi sono una rara testimonianza di un movimento eretico del medioevo che scrive in prima persona, nella propria lingua ed è sopravvissuto fino a noi. Tendenzialmente i libri degli eretici venivano eliminati, mentre questi manoscritti hanno avuto fortuna, sono stati messi in salvo da un élite protestante che li ha portati a Ginevra, in Irlanda, in Inghilterra».

Questi manoscritti smentiscono l’idea un pò romantica di un mondo che trasferiva per lo più oralmente e clandestinamente i propri saperi?

«Ecco infatti, si tratta forse di un’idea un po’ romantica quella del passaggio orale di ogni comunicazione.

Questo infatti è un vero e proprio archivio; forse non era nato per questo scopo, ma già nel ‘600 veniva considerato tale. Questi testi furono utilizzati per scrivere una prima storia dei valdesi nel 1618 “Histoire des Vaudois” di Jean-Paul Perrin commissionato dal sinodo del Delfinato. Perrin raccoglie i manoscritti, ci lavora sopra. Poi per varie ragioni svengono nuovamente separati.

Per una comunità che da un punto di vista di un uomo del medioevo era eretica, il possesso di libri era un’aggravante e qualcosa cui prestare molta attenzione. Motivo per cui forse questi manoscritti sono molto piccoli, minuti: sermoni e trattati sono grossi come un agenda, anche meno. I barba con ogni probabilità avevano questi testi. Ci sono testimonianze nei processi in cui i fedeli confessano all’inquisitore che i predicatori arrivavano con libri da cui leggevano passi in lingua volgare e non in latino, e con molta probabilità saranno stati questi libri. Cultura non solo orale quindi; certo che imparavano molto a memoria, interi passi a memoria, e questo sta all’interno della cultura medievale, in cui i libri erano pochi. Il barba non era però figura solo orale, I manoscritti ci raccontano di un approfondimento, di uno studio sui testi».

L’idea originaria del ‘300 era secondo voi già quella di costituire un archivio?

«Cosa siano stati all’origine questi manoscritti nel loro complesso non è chiaro e forse non lo sarà mai. E’ stata la professoressa Borghi Cedrini a proporre che si tratti di una sorta di archivio messo insieme negli anni attorno all’irrompere della Riforma protestante, per mettere in salvo ciò che era stato prima. Tesi affascinante, ma si dovrebbe verificare quanto fra fine ‘400 e inizio ‘500 era diffusa la coscienza che si stava andando verso qualcosa altro, quanto fosse diffusa l’idea di creare un archivio storico. Un’ altra ipotesi è che siano ciò che rimane dell’ ultima generazione dei barba. Quando i valdesi confluiscono nella Riforma la figura del barba si modifica, arriva il pastore. Anche i libri invecchiano rapidamente, dalla Francia arrivano volumi prestigiosi. Per smontare l’alone di romanticismo che grava attorno al barba, che sarebbe figura semplice e spontanea, è in realtà noto da tempo che la letteratura valdese pesca a piene mani in altre tradizioni, come normale che sia: testi boemi, latini medievali. Alcuni sermoni valdesi sono poi in realtà traduzioni, parola per parola, di sermoni di Jacopo da Varazze, domenicano, che scrisse tre raccolte di sermoni. Sermoni modello di un grande predicatore cui ogni predicatore accingeva. I suoi sermoni hanno diffusione enorme, ed evidentemente una copia o chissà cosa pervenne nelle mani di qualcuno legato all’ambiente valdese. Jacopo muore verso la fine del ‘200, da inizio trecento in poi qualcosa pervenne evidentemente ai valdesi che tradussero questi sermoni in volgare».

Sermoni valdesi tratti dai testi di uno dei massimi esponenti dei domenicani, ordine legato all’Inquisizione, notevole. Come vi siete accorti di questa origine e cosa può significare?

«Stavo preparando la mia tesi magistrale, avevo davanti a me un sermone, cercavo le fonti bibliche, patristiche; arrivo di fronte a un’etimologia che non trovavo da nessuna parte, e dopo aver cercato ovunque provo la carta della disperazione: digito su Google la frase valdese tradotta in latino da me e mi escono tre righe con etimologia e con le parole seguenti e precedenti, e con l’indicazione dei sermoni di Jacopo da Varazze. Cerco quindi il libro in biblioteca, e mi accorgo che non era solo una frase, ma tutto il sermone, e da allora ogni sermone viene sottoposto a questa verifica , e oltre a Jacopo emergono traduzioni di altri autori del medioevo latino, questo a dimostrare che la letteratura valdese non era per nulla estranea alla circolazione di idee e materiali, perché la traduzione è letterale, quindi fatta col testo a fianco.

Jacopo da Varazze ebbe enorme successo, e ancora secoli dopo per una predica fatta bene si attingeva a suoi testi. Non è però questa una ricezione passiva, ma in molti sermoni si vede bene che il traduttore taglia e modifica alcuni passaggi che trattano argomenti che non trovavano posto nella teologia valdese dell’epoca. Il caso più eclatante è quello del purgatorio. Jacopo da Varazze parla del purgatorio, e il traduttore salta questi passaggi e cuce con cura fra loro le varie parti, e ciò vale anche per altri aspetti come il conteggio dei giorni di Quaresima: piccoli indizi su cui si misura lo scarto e la consapevolezza che si traduceva, ma non in maniera supina, si rielaborava; molto interessante. L’idea che una comunità eretica utilizzasse testi di matrice domenicana ci fa riflettere sulla capacità di trarre anche dall’esterno ciò che poteva servire, rielaborandolo».

Per informazioni sul convegno di Dublino: www.waldensianstcd.wordpress.com

Immagine: Genève, Bibliothèque de Genève, Ms. l.e. 206, Front cover