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Alzare il livello di allerta contro il razzismo

«Non mi faccio visitare da un “nero”» ha detto la paziente al dottore, che ha risposto «Ti ringrazio. Ho 15 minuti per bere un caffè». Uno dei tanti (purtroppo) episodi di razzismo che si compiono quotidianamente nel nostro paese, condiviso su Facebook, è diventato un caso nazionale. Molti media si sono, infatti, occupati della vicenda del dottor Andi Nganso, 30 anni, originario del Camerun, da un anno operativo presso il servizio di continuità assistenziale (l’ex Guardia medica) a Cantù, nel Comasco, che nei giorni scorsi si è trovato di fronte una signora di una sessantina di anni che ha lasciato l’ambulatorio perché si è rifiutata di farsi visitare da un medico nero. Il dr. Andi Nganso, trasferitosi per motivi di studio in Italia dove ha svolto tutto il suo percorso universitario, è membro della chiesa battista di Varese. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per rivolgergli alcune domande.

— Era la prima volta che un paziente negava di farsi visitare a motivo del colore della sua pelle?

«Un episodio di una tale violenza verbale non mi era mai accaduto. Ci sono stati casi in cui qualcuno ha trovato delle piccole scuse del tipo “Ho dimenticato il documento in macchina”, e poi non è tornato, cioè ci sono state persone che si sono defilate in modo più “rispettoso”, mi viene da dire. In modalità così violente, era la prima volta».

— In generale qual è la reazione dei pazienti che incontra?

«La più comune è “sei tu il medico?”, e quel tu è la prima cosa che mi dà fastidio, perché la gente non è abituata o non è preparata a trovarsi di fronte ad un professionista. Però ho imparato a rispondere a quelle domande con ironia, e la cosa si stempera. Il disagio da parte delle persone non l’ho mai avvertito in modo così aggressivo. Ho esercitato anche la medicina di territorio, quella dei medici di base, ed è ovvio che in quel settore – dove esiste un rapporto di fiducia tra l’assistito e il medico – il paziente ti dica “no dottore, ritorno la prossima volta quando c’è il mio medico di riferimento”. Finché rimaniamo in quei termini non c’è problema, ma quando tutto sfocia in intolleranza e razzismo, le cose cambiano».

— E qual è l’atmosfera tra i colleghi?

«Non ho mai avuto problemi. Le nostre università in Italia oggi sono internazionali, i programmi Erasmus sono attivati, quindi gli scambi culturali sono già operativi a quel livello. Il problema è fuori da quelle mura».

— Ha la percezione che in Italia il razzismo stia aumentando?

«Penso che questo sia un periodo in cui dobbiamo cercare di alzare il livello di allerta: piccoli segnali ci sono, purtroppo, che non vengono sempre denunciati. Ma sia a livello nazionale che internazionale si percepisce che la tensione c’è. Siamo a soli tre giorni dalla commemorazione della Giornata della memoria e siamo un po’ tutti “smemorati”, mi viene da dire: si parte sempre con i piccoli attacchi e poi, se la cosa non viene controllata e se non viene fatto un certo lavoro di educazione al civismo, alla cultura della tolleranza e delle diversità, ovviamente i problemi si aggravano».

— Lei ha affidato ad un post su FB il racconto di quanto le è accaduto in ambulatorio. Molti sono stati i messaggi di solidarietà…

«Doveva essere una cosa molto semplice. Come accade nell’uso dei social, condividiamo i piccoli episodi che ci capitano durante la giornata e così ho reagito: ho voluto condividere l’accaduto con i miei amici. Da lì sono partiti messaggi di solidarietà dei miei amici che, indignati, si sono messi a condividere a loro volta la notizia che è diventata un piccolo caso nazionale. Mi ha fatto molto piacere ricevere tutta questa solidarietà. Come dico sempre, purtroppo la parte della società che si fa più sentire è quella aggressiva e piena d’odio, mentre l’altra parte è un po’ troppo defilata. Piccoli episodi, come quello accaduto a me, mettono in moto tutta la parte civica della società ed è stato molto bello. In questo periodo secondo me ci dobbiamo far sentire un po’ di più».

— Tra i messaggi di solidarietà, ha ricevuto anche quello del presidente dell’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi), e della chiesa battista di Varese, di cui è membro. ( A questo link i messaggi)

«Sono stati molto importanti per me perché esprimono la nostra vicinanza nella fede. Penso che all’interno della chiesa battista, il nostro lavoro debba essere doppio a motivo delle origini culturali che abbiamo. Ad aprile commemoriamo il Martin Luther King Day, e credo che in quanto battisti dobbiamo ancora di più insistere sulle battaglie contro il razzismo e l’intolleranza».