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La patologia del gioco d’azzardo

Il quotidiano cattolico “Avvenire” porta avanti da tempo una campagna seria e senza sconti sul gioco d’azzardo patologico in Italia: oltre ai disastri sociali e sanitari che questa patologia è in grado di scatenare, c’è il terreno scivoloso delle connessioni fra criminalità organizzata e gioco d’azzardo. In Italia, la legalizzazione del gioco non ha impedito alla mafia di continuare ad arricchirsi su questa pratica. Ancora più grave, secondo il giornalista Umberto Folena, è che l’industria dell’azzardo si arricchisca su persone malate: quel 3% dei giocatori che sviluppano una patologia, garantisce una fetta consistente del fatturato globale del gioco.

Umberto Folena, c’è un primato tutto italiano, rispetto alla media europea: abbiamo, nel nostro paese, una slot machine ogni 143 abitanti. Quando lei parla di industria dell’azzardo “di massa”, fa riferimento a questo primato?

Sì, esatto. Ciò che è accaduto negli ultimi 20-25 anni in Italia è che ormai non sono più le persone ad andare in cerca dell’azzardo, della roulette, delle slot machine o di altre forme di gioco d’azzardo; ma è l’azzardo stesso che va in cerca delle persone. Nonostante il tentativo di mettere limitazioni significative, resta il fatto che la presenza di “macchinette” da gioco in Italia è pervasiva. Nei bar, nelle tabaccherie, è fin troppo facile cadere nel meccanismo del gioco, che in determinate condizioni e in determinate persone può portare a gravi forme di dipendenza.

Quali sono le conseguenze di questa presenza pervasiva delle opportunità di gioco?

Ricordo il caso di un uomo che frequentava la Casa del Giovane di Pavia: non è giovane, è un pensionato e adesso aiuta i più giovani a salvarsi dalla dipendenza da gioco. Lui, che non aveva mai giocato nulla, quando va in pensione inizia ad andare al bar, per leggere il giornale e parlare con gli amici. Quando vede le slot dice: “Chissà com’è, proviamo!”. Quell’uomo fa parte di quel 2-3% dei giocatori che, per condizione sociale, per il suo passato, per una qualche predisposizione psicologica, è rimasto incastrato nella pratica dell’azzardo e si è mangiato tutta la liquidazione, ha ipotecato la casa e poi, alla fine, in un sussulto di responsabilità ha detto basta.

Ecco cosa intendo quando parlo di industria dell’azzardo di massa: si è fatto in modo che l’azzardo riguardi molti, troppi italiani. Paradossalmente, è l’industria dell’azzardo stessa ad essere “drogata”, perché per sostenersi ha bisogno di accrescere sempre di più il numero dei giocatori.

Ma perché l’industria dell’azzardo ha bisogno che il numero dei giocatori sia in crescita costante?

L’industria dell’azzardo di massa è fondata su una patologia. Non è un accidente o un fatto secondario, ma è la sua base,: ne ha un disperato bisogno; anzi meglio se questi patologici aumentano, così potranno dare ancora di più. Circa la metà del fatturato dell’industria dell’azzardo è garantita da persone malate. Concretamente significa che una piccola percentuale dei giocatori – quelli affetti da dipendenza – garantisce quasi la metà del fatturato del gioco d’azzardo. In Italia questo fatturato è superiore ai 90 miliardi di giocato all’anno: è la terza industria italiana. Vuol dire che circa la metà di questi 90 miliardi vengono forniti da persone malate.

Parliamo delle conseguenze del gioco patologico. Si può quantificare, nel nostro Paese, il danno sociale ed economico causato da questa patologia?

Possiamo solo fare delle stime. Lo Stato oggi incassa 9-10 miliardi da questa attività. Ma quanto ci rimette? Non è facile dirlo, perché non è neppure facile capire quanti siano effettivamente i malati di gioco patologico in cura presso i servizi pubblici. E inoltre quel numero è solo la punta dell’iceberg del fenomeno. Le persone affette da quella patologia in Italia sono almeno 800 mila.

E poi non sono in gioco soltanto le risorse pubbliche: bisogna anche capire quanto costa, questa patologia, in termini di lavoro perso, giornate di lavoro bruciate, aziende che falliscono e che procurano un danno a intere famiglie. Possiamo quantificarla, in euro, la sofferenza di una famiglia?

Lei si occupa da anni di questo argomento. Che cosa ha imparato incontrando da vicino persone rovinate dal gioco, ma anche commercianti, come i tabaccai che hanno deciso di rinunciare alle “macchinette” e al guadagno che potrebbero ricavarne?

Ho imparato che c’è una sofferenza che rimane nascosta perché nessuno esibisce un parente o un amico che è malato d’azzardo, così come non esibisce il parente o l’amico tossicodipendente o alcolista. Ho imparato che per un tabaccaio o un barista rinunciare alle macchinette è un atto di eroismo, perché vuol dire che questa persona rinuncia a 3-4 mila euro sicuri al mese. Non so se mi spiego. Chi rinuncia a questo è un eroe e va premiato. Il Movimento No Slot fa proprio questo: organizza eventi e iniziative per aiutare e valorizzare queste persone che hanno deciso di non installare slot nei loro esercizi commerciali. Questi sono segni di speranza, che possono aiutare le persone ad aprire gli occhi sulla realtà del gioco d’azzardo: sul rischio della patologia, ma anche sulle pesanti connessioni del gioco con l’usura e dunque con la malavita organizzata.