istock-641755172

Generazione Z, la meno cristiana nella storia americana

La Generazione Z (i nati tra il 1999 e il 2015) è laprima veramente «post-cristiana»:più incline a dubitare, a definirsi atea, meno interessata a frequentare una chiesa. È quanto viene fuoridall’ampia ricerca eseguita dalBarna Group – compagnia di ricerca no profit con sede a Ventura (California), fondata nel 1984, che monitora le tendenze culturali relative a valori, convinzioni, e comportamenti – in collaborazione con l’Impact 360 Institute.I risultati della ricerca, intitolata «Gen Z: The culture, beliefs and motivationsshaping the next generation», sono stati resi pubblicila scorsasettimana.

«Gli adolescenti della Generazione Z sono diversi perché sono cresciuti in un ambiente post-cristiano, post-moderno nel quale molti non sono mai entrati in contatto con il cristianesimo o la chiesa. Questo è un cambiamento davvero unico», ha dichiarato BrookeHempell, vicepresidente senior della ricerca di Barna, in occasione dell’evento di presentazione pubblica svoltosi presso la Grace Midtown Church, Atlanta.

Per la Gen Z, nativi digitali per definizione, che hanno vissuto da sempre un mondo iperconnesso, che al posto delle parole usa gli emoji e videochatta con FaceTime, «ateo» non è più una parolaccia. Il numero di adolescenti che si definiscono atei è il doppio rispetto al numero di adulti statunitensi in generale (13% contro il 6%). È un dato che supera di gran lunga la precedente generazione, quella deiMillennials(i nati tra gli anni ’80 e il 2000), nella quale solo il 7% si definiva ateo.

Cosa hadeterminato questo precipitoso declino? Barna ha chiesto ai non cristiani di tutte le età i loro maggiori ostacoli alla fede. I non credenti della Gen Z, insieme ai giovani adulti, sono più propensi degli americani più anziani a dire che un impedimento a credere è il problema del male e della sofferenza (29%). Sembra che la gioventù di oggi, come tanti nel corso della storia, fatichi a trovare un argomento convincente per conciliare l’esistenza del male e quella di un Dio buono e amorevole. A seguire, tra gli ostacoli al credere ci sono l’ipocrisia percepita tra i Cristiani (23%) e il conflitto tra scienza e Scrittura (20%).

La ricerca ha evidenziato inoltre che tra gli adolescenti cristiani il79% si sente a proprio agio nel condividere «domande oneste, contrasti e dubbi» con i propri genitori. Il Fuller Youth Institute ha indicato questo livello di fiducia come cruciale per aiutare i ragazzi a crescere e mantenere la loro fede.

«Ogni giovane ha bisogno di sapere che tutte le sue domande, lamentele, dubbi e battaglie hanno ascolto», ha detto Brad M. Griffin, direttore dell’Istituto. «Hanno bisogno di sapere che tu – e Dio – ascolterai e manterrai le domande senza allontanare il giovane».

Dalla ricerca emerge un’apertura maggiore dei ragazzi della Gen Z sulla propria identità sessuale e una maggiore sensibilità sulle questioni Lgbt. Il 12% degli adolescenti, ad esempio, ha descritto il proprio orientamento sessuale come qualcosa di diverso dall’eterosessuale, con il 7% che si identifica come bisessuale.

Il 37% afferma che il loro sesso e la loro sessualità sono «molto importanti» per la percezione di sé, rispetto al 28% dei genitori appartenenti alla Generazione X.

Inoltre, circa un terzo dei ragazzi conosce qualcuno che è transgender, e la maggioranza (69%) afferma che è ammissibile nascere diun genere e sentirsi appartenente ad un altro.

Altro dato interessanteemerso dalla ricerca riguarda la frequentazione di una chiesa.

Più della metà dei ragazzi tra i 13 e i 18 anni ha detto che andare in chiesa era o «non troppo» (27%) o «tutt’altro» che importante (27%). Solo uno su cinque ha detto che frequentare la chiesa era «molto importante».

Tra quanti hanno espresso questo disinteresse, tre su cinque (61%) hanno detto che ciò è dovuto al fatto di«trovare Dio altrove», mentre il 46% dello stesso gruppo ha affermato che «la Chiesa non è rilevante per me personalmente».

Che i non cristiani trovino la Chiesa irrilevante non stupisce, ma che molti cristiani abbiano affermato lo stesso è un dato che suscita riflessioni.

Il declino della presenza in chiesa non sarebbe semplicemente un indicatore del calo dell’esperienza di fede, quanto il segnale di uno spostamento delle priorità religiose – la fede sta assumendo nuove forme («altrove»). Dunque, tra le sfide poste oggi alle chiese cristiane americane(e non solo)ci sarebbe quella di intercettare questo cambiamento edelaborare proposte nuove e alternative.