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Il lato intollerante della Riforma magisteriale

Ora che si sono spenti i riflettori sulle celebrazioni del V centenario dell’evento simbolico della Riforma protestante (l’affissione delle 95 tesi, mai avvenuta) e, dopo un profluvio di discorsi e pubblicazioni, si sono calmate le acque, si potrebbe tentare un primo bilancio, al quale necessariamente dovrà seguire una riflessione più approfondita sia sulle rievocazioni celebrative, spesso mistificatorie, sia sui tentativi di revisione storica di vari aspetti della Riforma.

Il dato più innovativo e caratterizzante del V centenario è stato indubbiamente l’aspetto ecumenico: mai come quest’anno si era assistito a celebrazioni officiate insieme da protestanti e cattolici, non solo ai più alti livelli istituzionali, ma anche a livello locale. L’aspetto ecumenico è frutto di anni di incontri tra cattolici e luterani, che avevano portato alla pubblicazione nel 1999 della Dichiarazione sulla giustificazione per fede e nel 2013 del documento Dal conflitto alla comunione, ed è stato rafforzato dall’emissione da parte delle Poste Vaticane, proprio il 31 ottobre 2017, di un francobollo che ritrae – inginocchiati rispettivamente a sinistra e destra della Croce, in atteggiamento di penitenza – Martin Lutero che sostiene la Bibbia, e Filippo Melantone che tiene in mano la Confessione di Augusta, entrambi definitivamente inglobati nel culto dei Santi della tradizione cattolica.

Un aspetto che invece costituisce un segno di continuità rispetto alle celebrazioni dei centenari precedenti è stata il quasi totale oscuramento della cosiddetta Riforma radicale, cioè di quella che si potrebbe definire l’«area del dissenso» rispetto alla Riforma magisteriale o ufficiale*. Si è trattato di rimozione (quel meccanismo psichico che rimuove dalla coscienza elementi mnestici inaccettabili e sgraditi e la cui presenza provocherebbe vergogna) o di damnatio memoriae (nel diritto romano, la pena che consisteva nella cancellazione di ogni traccia relativa a una persona)?

Per rispondere adeguatamente a questa domanda sarebbe necessario esaminare, come ha suggerito il sociologo Alessandro Cavalli, il legame tra i processi di memoria e celebrazione e i processi di rimozione pubblica del passato, o la distinzione, proposta dal filosofo Paul Ricoeur, tra forme di oblio attive e passive. Lasciando a chi ha competenze e strumenti adeguati il compito di indagare i processi di costruzione memoriale e identitaria nei rituali commemorativi del V centenario (in Italia, le manifestazioni collettive organizzate dalle chiese evangeliche hanno evidenziato il desiderio di offrire un’immagine unitaria del frammentato mondo evangelico), mi limito a ricordare un dato storico: la condanna dei «dissidenti» (anabattisti, spiritualisti, razionalisti, ecc.) da parte della Riforma magisteriale fu totale e definitiva. Nella Confessio Augustana del 1530, la condanna degli anabattisti è ripetuta cinque volte; la condanna fu confermata dalla Confessio belgica del 1561.

Gli indiscutibili meriti dei riformatori magisteriali non possono far dimenticare che la loro intolleranza ebbe tragiche conseguenze per migliaia di dissidenti che furono esiliati, perseguitati, imprigionati, torturati, annegati, impiccati, decapitati e bruciati sul rogo. È forse questa pagina nera, che accomuna protestanti e cattolici, la causa della difficoltà a parlare della Riforma radicale? È questa la causa della rimozione o della damnatio memoriae?

In realtà, i luterani avevano iniziato a fare i conti con questo aspetto della loro storia già da quando, nel 1980, il Comitato esecutivo della Federazione luterana mondale adottò una «Dichiarazione sulla Confessio Augustana», che esprimeva pentimento per le sofferenze causate dalle condanne e persecuzioni degli anabattisti e auspicava il superamento delle divisioni ancora esistenti. Il cammino della riconciliazione ha portato alla pubblicazione del rapporto della commissione bilaterale luterana-mennonita Guarire le memorie: riconciliarsi in Cristo (luglio 2010). Purtroppo, la riconciliazione tra i discendenti dei persecutori e dei perseguitati ha avuto un impatto molto marginale sulle celebrazioni del V centenario.

Tornando alla domanda sul parziale o totale, a seconda delle circostanze, oscuramento dell’area del dissenso radicale, potrebbe contribuire a fornire una risposta l’esame dell’influenza esercitata dalle distorsioni e falsificazioni storiografiche dell’anabattismo che hanno resistito a ogni revisione. I riformatori magisteriali avvalorarono la tesi delle origini sassoni dell’anabattismo, presentato in modo deliberatamente fuorviante come movimento violento e perfino diabolico, associato alla figura del dissidente sassone Thomas Müntzer, che secondo Lutero, avrebbe «agito in nome del demonio».

Un’altra corrente storiografica, di segno opposto, che ha falsato la percezione dell’anabattismo risale a Friedrich Engels, che esaltò la «magnifica figura di Thomas Müntzer», primo «martire della rivoluzione comunista» ed eroico oppositore dei poteri feudali a difesa dei contadini, contrapponendolo a Lutero, che «aveva tradito il movimento popolare» diventando un «servo dei principi” e un “macellaio dei contadini». Quest’immagine di Müntzer fu ripresa da altri studiosi marxisti fino a Ernst Bloch, per il quale Müntzer rappresentava l’incarnazione di un aspetto simbolico essenziale della storia, la ribellione dell’uomo all’autorità.

Infine, un aspetto paradossale e non marginale delle celebrazioni del V centenario che vale la pena sottolineare è stata la privazione, prima, e attribuzione indebita, poi, di princìpi e valori come libertà di coscienza, separazione tra Stato e chiesa, nonviolenza, che derivano in buona parte dall’area del dissenso radicale della Riforma e invece sono stati indebitamente fatti risalire a Lutero e alla Riforma magisteriale. Dato che questi princìpi e valori sono ormai diventati patrimonio condiviso del protestantesimo contemporaneo, non se ne poteva lasciare la paternità ai martiri della Riforma!

* Fra le eccezioni, va segnalato il convegno organizzato dal Dipartimento di Storia Culture e Religioni dell’Università di Roma «La Sapienza» a fine 2017, v. Sergio Aquilante, Il ruolo della grazia e la Riforma radicale, «Riforma», n. 1/2018, p. 4.

 

Foto: Thomas Muntzer