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Esiste un’unica razza, ed è quella umana

Tutto avremmo sperato, fuorché ricordare il Settantesimo della Costituzione attraverso la recente dichiarazione del candidato di centro-destra alle elezioni regionali in Lombardia, Attilio Fontana, che ha parlato di «razza bianca», in riferimento alla questione migratoria, e che per difendersi il giorno dopo ha tirato in ballo la Costituzione. È davvero scandaloso come trovata per far parlare di sé, invelenendo il dibattito e creando una confusione di cui davvero non c’era bisogno.

Vi sono diversi problemi. Il primo e più evidente è l’ennesimo tentativo di strumentalizzare a fini elettorali il fenomeno migratorio per scatenare ondate di rifiuto e di paura rispetto non più all’invasione ma a qualcosa di più profondo, ossia il meticciato generato dall’inclusione, la mescolanza di sangue e di geni, fino ad arrivare a ipotizzare la perdita di identità nazionale a causa appunto del massiccio arrivo di stranieri. Che, detto per inciso, fanno più figli degli italiani e assistono i nostri anziani. Discorsi da bar, eppure ce li sentiamo ripetere in Tv e sui giornali. E allora è davvero necessario trovare buone letture.

È appena uscito un bel libro, Storia mondiale dell’Italia (Laterza 2017), che pagina dopo pagina – ne contiene circa 800 ma può essere letto anche in modo frammentario – documenta come invece l’identità italiana sia proprio frutto della mescolanza e dell’incontro di popoli e culture diverse e che utilizzare termini come «radici» rinvia a un discorso razzista che infatti avvertiamo dilagare nella nostra società. Ripercorrere tanti eventi in un’ottica mondiale significa dunque mettere in risalto proprio questi incontri che hanno lasciato traccia nella cultura, nell’arte, nell’economia e nella società. È una storia sorprendente che può arricchire il discorso comune per contrastare quanto di più velenoso vi sia nel discorso pubblico: il tema della razza.

Secondo aspetto, i termini hanno una storia, e diverse lingue utilizzano parole diverse per rendere concetti simili. Anche questo aiuta a relativizzare: la parola razza ha tantissimi significati e dipende dal contesto della frase. Così nella lingua inglese esiste il termine race ancora in uso, che si utilizza anche quando ci si voglia riferire alle relazioni tra persone diverse, e si parla di race relations con un accento sugli aspetti biologici; ma questo termine è anche affiancato da un altro, ethnicity e dal conseguente interethnic relations quando si voglia mettere l’accento sull’interazione delle differenze culturali e sociali che sono al tempo stesso una barriera ma anche un’occasione di confronto e di condivisione. Insomma, una pluralità di espressioni per rendere la complessità dell’intercultura, anche se le scienze sociali hanno da tempo confutato l’esistenza di razze umane. Le differenze umane sono cioè più ampie di quelle che possono essere espresse con il termine «razza»: non è possibile definire dei gruppi umani biologicamente differenti.

Nel 1952 l’antropologo Lévi Strauss scrisse un piccolo libro intitolato Razza e storia (Einaudi 2002), che può considerarsi un manifesto antirazzista nelle cui pagine si analizzavano le difficoltà che derivano dall’etnocentrismo e dai pregiudizi che spesso offuscano la dignità di ogni essere umano e di ogni cultura: esiste una sola razza ed è quella umana. Vi fu discussione quando uscì, vorremmo che se ne continuasse a discutere proprio per sviluppare quegli anticorpi che sembrano sempre più necessari.

Recentemente, un libro frutto della collaborazione di diversi studiosi, Contro il razzismo (Einaudi 2016) ha messo in evidenza quanto sia pericoloso parlare di razze e quanto la riflessione scientifica incoraggi una revisione critica nella genetica, nell’antropologia, nell’analisi linguistica, nella violenza istituzionale. Il dibattito tra gli studiosi ha anche ipotizzato di modificare la Costituzione laddove si cita la parola «razza» in quell’articolo 3 che è contro la discriminazione.

Il «Manifesto della razza» che introdusse le leggi razziali fasciste venne scritto ottant’anni fa, un testo aberrante, contro il quale i costituenti presero una posizione netta. A pensarci bene, sostituire quel termine nella Costituzione ci renderebbe la memoria corta e sarebbe meno efficace in un paese dove quella parola circola ancora a sproposito. Occorre sempre e di nuovo prendere posizione contro la discriminazione razziale per affermare valori di giustizia, libertà e eguaglianza. E sperare che nella prossima legislatura si possa approvare lo ius soli et culturae.