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L’arte nascosta a Brescia

100 capolavori tra il XIX e il XX secolo, Picasso, De Chirico, Morandi è il titolo della mostra che ci introduce in un mondo quasi inaccessibile: quello delle collezioni private, dei capolavori in case e caveau, luoghi in cui alcune grandi opere rimangono alla vista di pochi. Da sempre il mecenatismo e le commissioni hanno permesso all’arte di evolvere e hanno dato ad alcuni artisti la possibilità di esprimersi. Ora, fortunatamente i casi non mancano, perché grandi collezionisti rendono accessibile il proprio patrimonio attraverso fondazioni e spazi per ospitare queste opere. Quattro anni dopo la prima esposizione che ha dato spazio alle opere private dedicate al Barocco e al Rinascimento, questa, sempre presso Palazzo Martinengo, a Brescia, si concentra sul ’900.

Ce ne parla il curatore, Davide Dotti.

Come è potuto venire a conoscenza di queste opere?

«Nel mio mestiere di storico, critico d’arte e curatore, il preziosissimo giacimento delle collezioni private è molto importante nell’allestimento delle mostre; in più, essendo bresciano, gioco in casa, ci sono collezionisti che conosco da molto tempo e di cui sono a conoscenza dei tesori che conservano sia in casa ma anche nei caveau di banche. È stato un gioco relativamente semplice, anche se non sono mancate sorprese, come il Picasso che sarà la star di questa mostra. Un quadro che io conoscevo da tempo, di cui il proprietario non aveva alcun tipo di documentazione e che Claude Ruiz Picasso, il direttore della Fondazione Picasso di Parigi che il 15 novembre del 2017 ha emesso l’autentica, ha specificato che nel suo archivio privato conservava una fotografia del 1977 con la quale aveva già archiviato l’opera. Quindi lui era a conoscenza del dipinto ma non sapeva dove fosse finito. Bene: era in una collezione privata bresciana».

Di fronte a che tipo di percorso ci troviamo?

«Il percorso ha un andamento cronologico e tematico: parte dall’800, con la pittura neoclassica, poi la pittura romantica per poi entrare nel vivo del XX secolo con le avanguardie, quindi dal Futurismo di Balla, Boccioni e Depero alla pittura metafisica di De Chirico, Savinio e Severini. Un’ampia sezione è dedicata al ’900 italiano, al Ritorno all’ordine, per chiudersi poi con l’arte del dopoguerra, l’informale di Fontana, Burri e Manzoni, grandi maestri dell’arte di quel periodo.

Chiudiamo con una parete memorabile: con un Sei tagli rosso di Fontana, con un meraviglioso Catrame di Burri del ’50 e con due delizie di Manzoni: una Achrome e poi la famosa Merda d’artista. Qui a Brescia, a cento metri da Palazzo Martinengo, c’è un amico collezionista che conserva la scatoletta numero 79, me l’ha portata lui fisicamente mettendola nel cestino della bicicletta».

Quant’è importante rendere accessibile il patrimonio artistico?

«Questa è la filosofia di fondo che io sposo e ho cercato di comunicare ai vari prestatori. Loro sono proprietari di opere d’arte, in alcuni casi importantissime, ma il vero collezionista è colui che ha piacere a condividere le gioie private dell’arte con il pubblico. Quindi io ho chiesto uno sforzo, assolutamente sopportabile, di privarsi dei propri tesori per quattro mesi e mezzo per condividerli con il pubblico, e devo dire che la risposta dei collezionisti, nel 99% dei casi, è stata positiva.

Dal punto di vista culturale è anche un’operazione per dare al pubblico l’opportunità di vedere dei capolavori altrimenti inaccessibili».

Per maggiori informazioni, www.mostra900.it.