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Giuseppe Palumbo, il fotografo in bicicletta

Tra il 1907, dall’età di circa 18 anni, fino al 1959, Giuseppe Palumbo ha esplorato la terra d’Otranto in lungo e in largo: dismessi i panni di dirigente delle Poste e Telegrafi di primo livello, lui prendeva la bicicletta e il suo banco ottico e andava a scattare le lastre in vetro 9×12. Ci sono immagini di Napoli e della Calabria, ma ha anche esplorato, tornandoci più volte, in particolare le province di Lecce, Brindisi e Taranto, la sua terra. Grandissimo e attento studioso del territorio, era corrispondente del Touring Club e della rivista Archeologia, ha scoperto due siti megalitici, due dolmen nei dintorni di Melendugno nell’area della Grecìa salentina. È stato un custode e studioso, non soltanto come osservatore passivo, ha scritto articoli veementi in cui denunciava chi distruggeva i beni comuni e quando è stata distrutta piazza Sant’Oronzo, a Lecce, per costruire  i palazzi fascisti, è stato l’unico che ha fatto sentire la sua voce, fotografando un quartiere bellissimo che veniva buttato a terra.
Una mostra ripercorre la passione di questo appassionato fotografo e il curatore è Paolo Pisanelli.

Cosa si può dire dell’archivio di Giuseppe Palumbo?
«È un archivio che è rimasto addormentato e sepolto nei cassetti del museo provinciale di Lecce per molti anni, finché una bravissima storica dell’arte, Ilderosa Laudisa, non ha scritto un libro monumentale su Palumbo, riscoprendolo e tracciandone tutta l’opera attraverso un’indagine scientifica sulle singole fotografie. Noi, come Big Sur, Officina Visioni, Cinema del Reale con l’Istituto Centrale di Demoetnoantropologia e il Museo delle Civiltà di Roma dove è esposta questa bellissima mostra, abbiamo ristampato e rieditato un catalogo e finalmente questo archivio è stato restituito nel miglior modo possibile. Il Museo delle Civiltà offre un’esposizione molto particolare grazie anche alle luminarie, tipiche delle feste patronali, che illuminano l’esposizione.
Palumbo ha fotografato a fondo la sua terra, da come si apparecchiava la tavola a come si ricamavano i merletti, dal paesaggio all’architettura, e noi siamo riusciti a far dialogare le fotografie con tutte le stanze di questo bellissimo museo, il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, che vale la pena andare a visitare. Tra l’altro chi arriva in bicicletta ha uno sconto sul biglietto».

Si parla di Palumbo come anticipatore di Ernesto De Martino. Si può effettivamente definirlo così?
«Palumbo anticipa De Martino soprattutto per quanto riguarda gli usi e i costumi, che lui chiamava curiosità. Da questo punto di vista non si è mai pubblicizzato abbastanza, ha sempre tenuto un profilo di servizio e di cura del territorio senza imporre il suo nome come grande studioso o grande fotografo. Però, effettivamente, grazie a lui noi abbiamo uno spaccato della vita quotidiana della terra d’Otranto agli inizi del secolo scorso. Era molto attento a ricostruire momenti che si stavano perdendo, come far vestire un’intera famiglia con il costume tradizionale grico che cominciava a non essere più utilizzato; c’era la vita reale quotidiana con le vendemmie, le potature, il tabacco. Uva e tabacco ormai sono spariti dal Salento.
De Martino nel ‘59 fa la prima spedizione scientifica col fotografo Franco Pinna e il musicologo Diego Carpitella: un’equipe che si sposta per studiare il fenomeno del tarantismo. Questi rituali legati alla superstizione, Palumbo non li nomina; scrive un libro che riguarda anche Galatina e non nomina la tradizione del tarantismo, che era notissima e che già dal 1600 veniva identificata in questa terra, la terra del ragno. Per lui quello non era utile alla conoscenza del territorio, ha un approccio diverso, molto più indirizzato verso la storia, l’importanza archeologica, le tracce preistoriche sul territorio da cui era attratto».

La mostra Visioni del Sud. Giuseppe Palumbo, il fotografo in bicicletta è aperta fino al 7 febbraio 2018 presso il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari a Roma.
www.visionidelsud.it