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La Bibbia e le catene da spezzare

Come ogni anno, la scelta del tema e l’elaborazione dei materiali per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (Spuc, 18-25 gennaio) viene affidata alle chiese di un diverso paese o regione, di solito attraverso il locale Consiglio delle chiese cristiano. Quest’anno è toccato a un organismo ecumenico regionale, la Conferenza delle chiese dei Caraibi (Ccc), che da 45 anni riunisce le chiese cristiane di una vasta regione – in parte insulare e in parte continentale – che si estende dalle Bahamas a Nord fino alla Guyana francese a Sud, e dalle isole Barbados a Est fino al Belize a Ovest. «La comune identità della regione – si legge nel libretto della Spuc di quest’anno, preparato appunto dalla Ccc – si fonda tanto su motivi geografici quanto su una storia condivisa di colonialismo, sfruttamento e resistenza contro la dominazione straniera, quanto, infine, su un comune tessuto culturale». Le 33 chiese membro della Conferenza, appartenenti a quattro principali gruppi linguistici (spagnolo, inglese, francese e olandese), «condividono la convinzione comune che, a dispetto della divisione dovuta al retaggio coloniale, esista un’autentica, unitaria identità caraibica attraverso cui il popolo caraibico deve discernere quale sia la volontà di Dio e conformarsi ad essa».

E proprio il «retaggio coloniale» spiega la scelta del tema di quest’anno, «Potente è la tua mano, Signore», ispirato al cantico di lode di Miriam e di Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso (Esodo 15, 6). Un tema che a prima vista sembra quasi trionfalistico, ma che va letto appunto a partire dall’esperienza di attualizzazione dell’Esodo fatta dalle chiese dei Caraibi, che propongono di mettere al centro della celebrazione ecumenica due simboli: una Bibbia e delle catene.

Il primo simbolo appare scontato, ma in realtà vuole segnalare un rovesciamento di prospettiva: nei Caraibi, infatti, «storicamente le popolazioni indigene e gli schiavi patirono atroci sofferenze perpetrate dai colonizzatori che, allo stesso tempo, portarono la cristianità. Eppure, nelle mani della gente oppressa di quella regione, la Bibbia divenne una fonte primaria di consolazione e di liberazione. La dinamica di questo rovesciamento rende la Bibbia un simbolo particolarmente potente in se stesso».

Per quanto riguarda le catene, esse «sono un simbolo vigoroso di schiavitù, disumanizzazione e razzismo» così come «del potere del peccato che ci separa da Dio e gli uni dagli altri». Durante la preghiera ecumenica, tre catene di ferro verranno fatte cadere a terra come simbolo di liberazione dalla schiavitù, e al loro posto si propone di creare «una catena umana che esprime vincoli di comunione e di azione congiunta contro le moderne forme di schiavitù e ogni tipo di disumanizzazione individuale o istituzionale».

Il fatto che i materiali della Spuc di quest’anno vengano dai Caraibi è ovviamente casuale, ma in un certo senso è di buon auspicio per l’ecumenismo «nostrano». La Ccc, infatti, ha la particolarità di essere l’unico dei sette organismi ecumenici «regionali» (accanto a Asia, Europa, Africa, Pacifico, Medio Oriente e America Latina) in cui la Chiesa cattolica non solo è una delle chiese membro (lo è anche nel Pacifico e in Medio Oriente) ma addirittura è uno dei membri fondatori, attraverso la Conferenza episcopale delle Antille. E perché di buon auspicio per noi? Perché il 2018 dovrebbe – finalmente! – essere l’ anno di nascita del tanto atteso «tavolo permanente di consultazione» delle chiese cristiane in Italia. Cattolici, protestanti e ortodossi in Italia dovrebbero dar vita a questa struttura ecumenica – per ora molto snella – proprio pochi giorni dopo la fine della Settimana di preghiera. Mentre pregheremo che il Signore spezzi le catene di ogni schiavitù, chiediamogli dunque che spezzi anche ogni nostra eventuale resistenza, e ci aiuti a renderGli finalmente, anche nel nostro Paese, una testimonianza ecumenica unitaria.