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L’ambivalenza dei simboli religiosi

Lungi da noi l’idea di ribellarci al Signore e di voltare le spalle e non seguire più il Signore
Giosuè 22, 29

I discepoli a Emmaus si dissero: «Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentr’egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?». E, alzatisi in quello stesso momento, tornarono a Gerusalemme
Luca 24, 32-33

Il versetto tratto dal libro di Giosuè è collocato in un contesto alquanto drammatico. Il popolo che ha appena conquistato la Terra promessa corre il rischio di una guerra fratricida. I figli di Ruben, i figli di Gad e la mezza tribù di Manasse hanno appena costruito un altare al di là del Giordano. Gli altri percepiscono questo atto come grave offesa. Come in ogni conflitto, prima di sguainare le spade, si cerca una soluzione diplomatica che in questo caso funziona bene. I presunti colpevoli chiariscono le loro intenzioni: la costruzione dell’altare non voleva essere un gesto di scisma bensì un gesto simbolico per affermare l’unità delle tribù su tutte e due le sponde del fiume.

Gesti e simboli religiosi contengono infatti un potenziale ambivalente: possono unire popoli e tribù ma possono generare conflitti assai feroci. Il Natale di solito è percepito come festa che unisce, che aiuta a risolvere i conflitti, che favorisce la rimarginazione delle ferite. È solo uno dei suoi lati, anzi il lato positivo. Dall’altro lato c’è l’incapacità delle Chiese d’Occidente e quelle d’Oriente di mettersi d’accordo su un’unica data per celebrare questa festa. C’è anche una vera e propria strumentalizzazione politica che cerca di contrapporre Betlemme a Gerusalemme. Ci sono infine chiese di matrice evangelicale che ritengono sbagliata qualunque celebrazione natalizia perché si tratterebbe di una festività pagana.

Nei quattro vangeli canonici (Matteo, Marco, Luca, Giovanni) troviamo a questo proposito una certa (a-)simmetria. Marco non ne parla proprio. Matteo e Luca presentano due narrazioni simili ma diverse quanto ai dettagli e all’impostazione teologica. Giovanni invece ci offre una versione fortemente simbolica della nascita di Gesù. Credo che nei tempi in cui viviamo si dovrebbe rivalutare proprio Giovanni e una delle affermazioni centrali del suo famoso Prologo: La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno sopraffatta (Giovanni 1, 5).

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