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Prendersi cura l’uno dell’altro – o dell’altra

«Potevi pensare che era matto. Ma non era così semplice. Quando uno ti racconta con assoluta esattezza che odore c’è in Bertham Street, d’estate, quando ha appena smesso di piovere, non puoi pensare che è matto per la sola stupida ragione che in Bertham Street, lui, non c’è mai stato. Negli occhi di qualcuno, nelle parole di qualcuno, lui, quell’aria, l’aveva respirata davvero. A modo suo: ma davvero. Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima. In questo era un genio, niente da dire. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia… tutta scritta, addosso». Leggendo il libro di Sergio Manna*, pastore, cappellano clinico e supervisore in Clinical Pastoral Education (Cpe), mi è tornato alla mente questo brano tratto da Novecento di Alessandro Baricco.

Il libro di Manna, che è una introduzione al counseling pastorale, restituisce esperienze di incontri, di discussioni teologiche fatte con altri cappellani, ma soprattutto con ammalati, medici e personale infermieristico. Tutti attori di quella Cpe che è formazione per ogni persona credente che voglia offrire cura d’anime, non scimmiottando la psicologia, ma attingendo alla plurisecolare pratica cristiana del prendersi cura dell’altro e dell’altra.

Il volumetto di cui stiamo parlando è soltanto di un centinaio di pagine ma è denso di umanità e di pensiero teologico. I giovani pastori sono esercitati alla esegesi biblica ma bisogna anche imparare a leggere «i documenti viventi», e tra questi anche a «leggere se stessi» con le proprie paure, ansie, desideri. È necessario apprendere tutti i linguaggi, quello dell’amore, ma anche della sofferenza, e della rabbia. Scrive Manna, nella sua meditazione conclusiva sul libro di Giobbe: «Il paradosso bellissimo della Bibbia è proprio questo: che in essa, nella Parola di Dio, vengono accolte e accettate anche parole che sembrano essere contro Dio» (p. 106). Quando ci si trova davanti a una persona che vive la perdita della propria salute o di una persona cara, la sfida è saper ascoltare senza giudicare, e, ascoltando, riconoscere gli «odori» dei luoghi in cui non si è stati. E infine dire una parola, che comprende la preghiera, capace di «agganciare» la persona nella sua condizione esistenziale, nel suo bisogno di sentirsi riconosciuto.

Segnalo di questo volume il capitolo 6 dal titolo «Relazioni pericolose. Quando la relazione di cura diventa una relazione malata». Il capitolo offre coraggiosamente un’avvertenza, ma anche una proposta di approfondimento su come una relazione di aiuto possa divenire manipolativa, abusiva, e quindi distruttiva. Non è necessario arrivare a casi in cui sotto il mantello del care giver si nasconde il lupo che sbrana le sue vittime, quanto piuttosto di indicare i pericoli cui vanno incontro le persone che si dedicano alla relazione d’aiuto. Le chiese devono restare posti sicuri, dove le persone si sentono incoraggiate a vivere, anche quando sono confrontati con la fine dei propri giorni.

Concludo con un’ultima citazione che ha colpito l’autore del libro e che nella sua semplicità riassume l’ars moriendi di cui il libro è, fra le altre cose, testimonianza. Il pastore Joel Harvey, per anni cappellano di un ospedale oncologico pediatrico, usava ripetere ai pastori tirocinanti: «Tutti i nostri pazienti tornano a casa. Alcuni tornano a casa dei loro cari, altri vanno alla casa del Padre». Va restituita alla malattia e anche al morire la dimensione umana e spirituale impedendo che fanatismo religioso e delirio di onnipotenza di certa medicina, accrescano la solitudine di chi soffre. Sulla piccola nave che è la chiesa passano tante persone. Chi offre «cura d’anime» in nome dell’evangelo non «rubi l’anima» ai passeggeri, ma sia loro d’aiuto nel segno della com-passione, cuore del messaggio di Cristo.

* S. Manna, L’ascolto che cura, la Parola che guarisce. Torino, Claudiana, 2017, pp. 121, euro 12,90.