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Rivoluzione Galileo

Primo Levi, nella sua poesia Sidereus Nuncius, ha raccontato un Galileo Galilei che ritroviamo perfettamente nel percorso di questa mostra, con la sua curiosità, le sue scoperte, le invenzioni e l’umiliazione del processo a cui fu sottoposto. Non a caso questo testo apre il percorso che ci accompagna alla scoperta di questo straordinario scienziato, filosofo, fisico, letterato e musicista nato a Pisa nel 1564. Accanto a lui il racconto viene affrontato attraverso i grandi capolavori di Leonardo da Vinci, di Albrecht Dürer, di Rubens e poi dell’800 italiano con Previati, Balla e Pellizza da Volpedo; ma anche grazie a strumenti scientifici e libri, tra cui quelli di Galileo. Sono più di 200 i pezzi in mostra a Padova, città che vanta la presenta della prima università libera fondata intorno al 1222, che inaugura il primo teatro anatomico, il primo orto botanico e che accoglie Galilei come insegnante dal 1592 al 1610.
La mostra sarà aperta fino a domenica 18 marzo, presso il Palazzo del Monte di Pietà e ce ne parla uno dei curatori, il prof. Giovanni Carlo Federico Villa.

Si parla di Galileo come di un personaggio chiave, si dice che dopo di lui nulla fu più come prima. Come mai è così importante?
«Galileo è un personaggio che tutti conosciamo sin dai nostri studi scolastici come colui che ha teorizzato il metodo scientifico. In realtà Galileo è stato un uomo straordinario, “la più grande mente mai esistita” secondo l’ambasciatore svedese alla corte di Francia e il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni tempo, come ci raccontano Leopardi, Foscolo, De Sanctis, fino a Calvino; secondo Albert Einstein, è stato il primo grande fisico e il padre delle scienze naturali moderne. Un grande critico d’arte, un grande artista, un grande critico letterario. Quindi un uomo dalle complesse sfaccettature, un uomo che in buona sostanza ha creato la modernità, cioè ci ha consentito di guardare il nostro mondo e il mondo fuori da noi in modo radicalmente diverso».

Come si inserisce il suo genio nel tempo in cui viveva e alle possibilità che erano allora concesse?
«Se noi pensiamo a un protagonista dell’umanesimo, nel ‘400, ci viene in mente Leonardo da Vinci, un uomo che ha avuto delle grandi intuizioni ma non è mai stato capace di passare a un dato concreto e alla creazione di qualcosa che avesse una base scientifica. Galileo arriva 150 anni dopo e riesce sostanzialmente a cogliere tutto quello che il suo tempo stava raccontando, e succede proprio a Padova, che era allora l’unica università libera al mondo, che non dipendeva né dai cattolici né dai protestanti, ma da Venezia, il luogo in cui tutti sono uguali, c’è la massima libertà di religione e massima libertà di conoscenza. È in quel mondo, a contatto con grandi matematici, grandi anatomisti, grandi artisti, che Galileo riuscirà a portare la conoscenza a un livello successivo».

Quali sono gli strumenti che l’hanno aiutato nelle sue ricerche e nell’esplorazione della realtà?
«Principalmente la sua capacità di essere anche imprenditore: Galileo ha colto tutti quelli che erano i fermenti dell’inizio del ‘600. Vede arrivare dall’Olanda un tubo con dentro delle lenti, lui prende questo prototipo, crea e perfeziona il cannocchiale; nel dicembre del 1609 lo punta verso il cielo e inizia a guardare gli astri. Allora scopre i crateri e le montagne della luna, scopre i satelliti di Giove, sostanzialmente scopre il mondo al di fuori di noi. Poi lo punta  verso il basso e crea il microscopio, con cui osserva e ci racconta la pulce bellissima e la zanzara orribilissima. Oppure si mette lui stesso a creare strumenti, ad esempio il compasso geometrico militare, con cui era possibile fare operazioni matematiche anche molto complesse. Un oggetto che produrrà in centinaia di esemplari che vende in tutta Europa accompagnati da un testa, che è poi il libretto di istruzioni. Un uomo che ha la capacità di cogliere la realtà del suo tempo e diventare, oltre che scienziato, grande imprenditore e grande costruttore».

Ma è anche artista, appassionato d’arte, di letteratura di musica, no?
«Più che un appassionato, un vero e proprio artista. Bisogna ricordare che Galileo era figlio di un grande musicista come Vincenzo Galilei e lui stesso fu virtuoso di liuto, tanto che arriverà a ipotizzare una notazione musicale. Fu un grande critico d’arte: scrive importanti testi sugli artisti del suo tempo e non solo, in cui, ad esempio, stronca i Carracci e Arcimboldi, ed esalta invece Tiziano. Fu un grande critico letterario: è celebre la sua stroncatura di Machiavelli e l’esaltazione di Ariosto, ma fu anche un grande artista perché grazie alla pittura è riuscito a raccontare la luna attraverso dei meravigliosi acquerelli grazie ai quali per la prima volta si è riuscito a capire cosa fosse quest’astro che sembrava essenzialmente una sfera intonsa e immutabile».

Con Galileo si ha l’impressione di un uomo geniale ma anche molto umano. Come emerge quest’aspetto?
«Galileo è un uomo straordinariamente umano e in questa mostra, che certo celebra uno dei massimi miti europei, lo sottolineiamo. Era straordinariamente appassionato di buon vino, tanto che aveva acquistato a Padova una casa con vigna dove produceva vino che, diceva, rischiara la mente e  permette più liberi pensieri. Era appassionato di donne tanto che sposerà una cortigiana veneziana da cui avrà due figlie che, appena in età adolescenziale, spedirà in convento. Insomma, un uomo con tutte le sue contraddizioni. Nello stesso tempo però, un personaggio che davvero ci ha consentito fin dal principio di guardare le cose in modo diverso. Vi cito in conclusione quella che è stata una sua frase nella prima lezione che fece all’università: lui diceva che il metodo che avrebbe seguito sarebbe stato quello di far dipendere tutto da quello che si poteva osservare e che, se una tesi fosse stata contraria all’opinione di molti non gli importava, purché corrispondesse all’esperienza e alla ragione. Parlava dell’essere liberi nel pensiero, essere sempre pronti a mettere in discussione quelli che sono i valori consolidati in base alla propria esperienza e alla propria quotidianità».