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L’alba di una nuova era

Il 21 novembre, dopo 37 anni al potere, il dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe, accusato di aver affamato il suo paese e ripetutamente violato i diritti umani, si è dimesso su pressione militare e dopo un’imponente mobilitazione della gente scesa in piazza. Per lo Zimbabwe inizia veramente una nuova fase? Abbiamo rivolto questa e altre domande al pastore Chamuronwa Chiromo, della chiesa Emmanuel di Harare, direttore del complesso scolastico M. L. King e fiduciario della partnership che l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi) ha siglato nel 2006 con la Baptist Convention of Zimbabwe.

«È davvero l’alba di una nuova era. Mugabe sapeva bene che il suo mandato era al capolinea. Ha fatto ricorso al “pugno di ferro” per mantenere il potere; ha usato la sua organizzazione di servizi segreti per esercitare la paura e infliggere dolore fisico ed emotivo agli zimbabwiani. La forza economica era completamente nelle mani dei suoi vicari, e ci sono stati massicci abusi nell’utilizzo di fondi monetati e nelle violazioni dei diritti umani. Le dimissioni di Mugabe e l’azione giudiziaria contro i criminali che lo circondavano ci dà un sospiro di sollievo. È da tutto ciò che nasce l’alba di una nuova era in Zimbabwe. Ora possiamo parlare liberamente. Le persone hanno potuto esprimere le loro opinioni, e i media statali sono meno propagandistici. La fine del pugno di ferro ci porta a credere che possiamo lavorare e essere premiati per i nostri sforzi».

 

Emmerson Mangagwa, ex braccio destro di Mugabe e appartenente al partito di maggioranza (Zanu-Pf), ha giurato come presidente ad interim. Da subito ha promesso di dedicarsi al benessere del popolo, eppure in molti temono che egli non rappresenti una vera rottura con il passato, soprattutto sulla questione della violazione dei diritti umani. Cosa ne pensa?

«Le paure sono legittime. Mangagwa era informato di tutto, sicuramente era a conoscenza delle violazioni umane avvenute durante il regime del precedente presidente. Tuttavia, secondo me, egli è ciò che di meglio ci poteva capitare nel terribile pantano economico in cui versa il paese. Mnangagwa userà le sue conoscenze per guidare bene il paese, egli dovrà essere “un innovatore correttivo”. Ora sa bene che non si mantiene il potere attraverso la leadership dittatoriale, e sa che noi lo sappiamo. I zimbabwiani non gli daranno spazio, e reagiranno con una rivolta».

Lo Zimbabwe è un paese caratterizzato da una disastrosa crisi economica che ha trasformato il Paese potenzialmente ricco, dotato di miniere di diamanti e terreni molto fertili, in uno dei paesi più poveri dell’Africa, con una aspettativa di vita bassa (54 anni per gli uomini e 53 anni per le donne) e l’80% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. Quali sono le misure urgenti da attuare?

«Nel suo discorso inaugurale, il Presidente ad interim ha continuato a parlare di “ripresa economica”. Tuttavia sono necessarie diverse misure nell’ambito del nuovo ordine economico. C’è una bassa produzione, dei bassi livelli di esportazioni, leggi retrograde come la politica di indigenizzazione, che ha scoraggiato gli altri paesi ad investire nel nostro paese, determinando la chiusura delle aziende e la crescita della disoccupazione (95%). C’è bisogno di una drastica riduzione della spesa pubblica attraverso lo snellimento dei ministeri e la riduzione dei salari. La povertà espone le persone a essere prede di pratiche non etiche. Pertanto, le misure economiche di austerità possono favorire una crescita delle entrate per la produttività e l’aumento del benessere di una più ampia fetta della popolazione. Mnangagwa si è espresso contro la corruzione, compresi i crimini dei colletti bianchi. Lo Zimbabwe ha perso milioni di dollari a causa della corruzione. Il nostro paese è ricco di risorse naturali e, quando ben gestite, esse possono aiutare la ripresa economica della nazione.

Il presidente ha chiesto un nuovo impegno della comunità internazionale, e alcuni paesi come la Gran Bretagna hanno espresso il desiderio di aiutarci a saldare i nostri debiti con il Fondo monetario internazionale e la World Bank. Staremo a vedere».

La caduta di Mugabe è avvenuta in maniera nonviolenta. All’indomani della destituzione del dittatore, i leader cristiani hanno invitato i cittadini alla pace e alla calma. Che ruolo possono svolgere in questa fase di transizione le chiese cristiane?

«Noi abbiamo pregato e continuiamo a pregare. Alcuni di noi si sono persi, facendo dichiarazioni oltraggiose di solidarietà e di sostegno a Mugabe e al suo regime. Noi abbiamo bisogno di continuare a coltivare la pace, a difendere la dignità umana e il rispetto reciproco. Le persone sono alla ricerca di guadagni materiali, casa, trasporti, salute, denaro, istruzione, ecc. Ma dov’è finita l’essenziale prassi africana dell’Ubuntu? La Chiesa ha bisogno di incoraggiare la Nazione affinché il suo popolo definisca il proprio destino nel contesto dell’amore sacrificale  di Dio in Gesù Cristo».

In Italia abbiamo seguito le vicende del pastore battista Evan Mawarire, fondatore del movimento popolare “ThisFlag”. Ha legami con la Convenzione battista dello Zimbabwe?

«Mawarire ha sfidato mille forze e si distingue come il coraggioso profeta Amos. Dopo il suo primo arresto e la seguente assoluzione, si è trasferito negli Stati Uniti. Ma poi è ritornato, è stato nuovamente condannato e assolto. Anche se non ha collegamenti diretti con la Convenzione battista dello Zimbabwe, l’ampia comunità cristiana è stata incoraggiata e ispirata dalle sue parole. Il pastore Mawarire si è assicurato un gran seguito durante la massiccia marcia di protesta pacifica con le sue azioni profetiche».

Come vede il futuro dello Zimbabwe?

«L’inizio di una nuova era coincide: con l’inaugurazione di una nazione democratica; con il massimo di 10 anni per chi viene eletto in carica mediante elezioni libere ed eque; con una cultura di persone operose; con persone istruite che agiscono a livello locale, regionale e internazionale; con uno Zimbabwe che continua a fidarsi di Dio, qualunque cosa accada».