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Il «buon deposito»

A loro diedi i miei sabati perché servissero di segno tra me e loro
Ezechiele 20, 12

Custodisci il buon deposito per mezzo dello Spirito santo che abita in noi
II Timoteo 1, 14

«Il giusto per la sua fede vivrà»: questa frase di Abacuc (2, 4) è diventata famosa grazie all’apostolo Paolo che l’ha usata come titolo della sua lettera ai Romani. È una visione che contiene un «traguardo», che propone, cioè, un progetto che Dio sta preparando per essere attuato nella storia.

Questo progetto non può essere che di giustizia, pace e vita nuova, «poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: il giusto per fede vivrà».

Paolo, poi, rievoca il «dono» particolare che Timoteo ha ricevuto per la parola profetica e per l’imposizione delle mani (I Tim. 4, 14). Timoteo è così consacrato testimone del Cristo e ministro dell’evangelo. Fondamento di questo ministero missionario dev’essere la fede: fede nella parola di Dio testimoniata e proclamata, fede che è fedeltà al «buon deposito».

L’espressione «buon deposito» era già stata usata con passione da Paolo nell’appello finale della prima lettera ed indicava l’insieme della «buona notizia» di Cristo, oggetto della fede da lui stesso rivelata e donata.

Di questo «deposito» il discepolo e la discepola del Signore dev’essere sempre fedele servitore e custode: «O Timoteo, custodisci il deposito; evita i discorsi vuoti e profani e le obiezioni della pseudoscienza; alcuni di quelli che la professano si sono allontanati dalla fede» (I Tim. 6, 20-21).

Il contenuto di questo deposito è l’evangelo. L’Apostolo non si è mai considerato che come servitore di Cristo e dei misteri divini (I Cor. 4, 1). A differenza dei maestri che insegnano una dottrina frutto di loro speculazioni, egli non è che un dispensatore. Quel che predica l’ha ricevuto e deve trasmettere intatto questo tesoro che è la parola di Cristo ovvero l’oggetto della fede. «Del resto, quel che si richiede agli amministratori è che ciascuno sia trovato fedele» (I Cor. 4, 2).

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