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Il muro unisce, il muro divide

Dal muro di Berlino alla grande muraglia cinese, dal muro del pianto al Vietnam Veterans Memorial a Washington DC: sono solo alcuni dei muri famosi che in qualche modo simboleggiano qualcosa o sono eretti a memoria di qualche evento. Queste strutture supportano i nostri messaggi, ci separano o ci proteggono in base al punto di vista.

Dall’alba dell’umanità abbiamo inciso segni, poi lasciato affreschi istoriati, dipinto, scolpito ed eretto palazzi, circondato aree e spazi, separato quartieri che poi sono diventati la tela della street art che ha riportato il muro a essere supporto artistico e non solo oggetto divisivo.

Una riflessione sulla simbologia che questa semplice struttura porta con sé è stata fatta per The wall exhibition, percorso espositivo proposto a Palazzo Belloni, a Bologna, con la curatela di Claudio Mazzanti, che ce ne parla.

Oggi quando si parla di “muri” non possono non venire in mente quelli eretti o che si vogliono ereggere, principalmente dedicati al contenimento o al respingimento di persone. È un pensiero che vi ha aiutati nella costruzione del percorso?

«Indirettamente. È ovvio che i temi che in qualche modo fanno parte dell’attualità sono nella testa di tutti, anche di noi che abbiamo curato la mostra, così come dei visitatori. Però l’esposizione non è sui muri contemporanei, è una mostra che fa riflettere sull’idea, il concetto, il simbolo, il valore oggettuale di questa cosa che chiamiamo muro, sulla quale nessuno mai ha riflettuto approfonditamente. È un percorso che poi, sicuramente, porta a riflettere sui muri contemporanei ma con una consapevolezza diffusa della storia, del valore estetico e artistico delle diverse funzioni che il muro ha avuto. Forse solo confrontandosi in questa maniera un po’ indiretta si comincia a vedere meglio perché adesso si cominciano a costruire così tanti muri. Noi parliamo di un’epoca post-caduta del muro di Berlino nel 1989, ma non si sono mai costruiti tanti muri nella storia dell’umanità come, paradossalmente, dopo la caduta del Muro».

Simbolicamente si evoca sia un respingimento che una protezione. Come avete coniugato questi due aspetti?

«Il muro è sempre per lo meno due cose: dargli un’interpretazione vuol dire sbagliare approccio fin dal principio. C’è sempre un “di qua” e un “di là”, un “noi” e un “loro”: il muro protegge ma separa, è il luogo su cui ci esprimiamo in modo comunicativo, espressivo, con disegni, scritte, come i murales, ma è anche quella cosa che ci nasconde il mondo dall’altra parte. È sempre un oggetto ambivalente che ha almeno due significati e due valori, se non molti di più. Noi in mostra ne raccontiamo diversi, facciamo una cronologia della storia dei diversi muri nel corso dell’umanità, a partire dalle prime pitture rupestri, le impronte delle mani sulle pareti o i disegni degli animali delle grotte preistoriche che sono i primi vagiti della comunicazione umana, fino ad arrivare ai muri contemporanei passando per i più simbolici della storia dell’umanità. Ragioniamo sulle diverse funzioni che il muro ha avuto, una funzione pubblica come luogo di comunicazione, dove è sempre stata fatta la pubblicità, per esempio, dove vengono affissi le grida, gli editti, le cose che si vogliono comunicare alla gente, in passato sui muri, e oggi sui muri virtuali. Originariamente in inglese la bacheca di Facebook si chiamava “the wall”. Siamo tutti connessi a un muro su cui scriviamo e leggiamo le cose che scrivono gli altri».

Dal punto di vista artistico come ne avete parlato?

«Abbiamo utilizzato delle opere di grandi autori per simbolizzare e raccontare alcuni aspetti del nostro percorso; alcuni di questi vengono raccontati dalle opere d’arte che possono essere godute nella loro autonomia estetica ma anche rappresentano delle tappe all’interno del percorso. Troviamo delle opere di Arnaldo Pomodoro, Mimmo Rotella, Giuseppe Uncini, Lucio Fontana, Christo, delle incisioni di Giovan Battista Piranesi, le famose Carceri d’invenzione del XVII secolo che noi abbiamo rielaborato con un artista francese in un animazione 3D. C’è una stanza dedicata ai Pink Floyd, che ovviamente sono un altro dei riferimenti tipici quando si pensa a The wall; c’è una bellissima installazione di una giovane artista giapponese, Hitomi Sato, che esce dal Giappone per la prima volta. Opere di epoche e tecniche diverse che raccontano diversi aspetti del muro».

Come avete vissuto il vostro agire all’interno di muri per allestire la mostra?

«Ovviamente anche noi viviamo la nostra mostra all’interno dei muri, tutte le mostre nascono all’interno dei muri, non pretendiamo di dare risposte, ma proviamo a dare strumenti di riflessione. Il nostro tentativo è quello di provocare nello spettatore una serie di riflessioni, una serie di aperture. Nelle ultime stanze per esempio si trovano delle sculture bellissime di un autore italiano contemporaneo che si chiama Teo Pugliese che in qualche modo creano un interrogativo finale della mostra: sono delle sculture che si trovano in qualche modo incastrate nel muro, vivono nel muro, hanno un pezzo dentro il muro e un pezzo fuori, a simboleggiare un po’ la domanda sul nostro atteggiamento nei confronti di un oggetto che ci accompagna e dal quale siamo costantemente circondati. Tentiamo di uscirne, guardiamo l’infinito oltre la siepe leopardiana, ci andiamo a proteggere dietro al muro, oppure rimaniamo incastrati, sempre un po’ di qua e un po’ di là. Tra l’altro noi pensiamo che dare tutti questi stimoli di riflessione sia molto più utile che ragionare su delle condanne un po’ generiche verso questi oggetti che oggi vengono, forse, troppo frequentemente costruiti e troppo sbrigativamente etichettati. Noi non siamo a favore dei muri, ma non ci interessa neanche essere contro a prescindere. Normalmente succede che chi parla in questo modo crea la famosa situazione di “muro contro muro”, per usare un gioco di parole. I muri cominciano a cadere nel momento in cui si suscita la curiosità delle persone per quello che c’è dall’altra parte. Quando c’è voglia di conoscenza, di interessi, di stimoli, a quel punto i muri cominciano a creparsi da soli».