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L’ordine delle cose non è immutabile

Andrea Segre parla lentamente, ha una voce profonda e sembra pesare ogni parola con attenzione. In effetti, quando si parla di migrazioni i danni di un linguaggio impreciso possono essere davvero grandi.

Nel suo lavoro, Segre non utilizza soltanto la parola, ma la unisce alle immagini e ai suoni per costruire documentari e fiction che da poco meno di vent’anni cercano di raccontare, attraverso diverse lenti e vari segmenti narrativi, un fenomeno complesso come quello dello spostamento delle persone, molto spesso dal sud al nord del mondo. Nel 2017 sono usciti due suoi lavori: il primo si chiama Ibi, è un documentario in cui una donna del Benin immigrata in Italia racconta la propria storia. Il secondo, invece, è un film presentato quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia e il suo titolo è L’ordine delle cose.

Tuttavia, non basta raccontare le migrazioni per fare in modo che le disuguaglianze che vi stanno alla base vengano messe in discussione. Proprio per questo, domenica 3 dicembre 2017 si terrà a Roma il Forum nazionale “Per cambiare l’ordine delle cose”, che vede tra gli organizzatori realtà come Amnesty International Italia, Medu – Medici per i diritti umani, Medici senza frontiere e NAGA, oltre a circa 800 partecipanti da 140 diverse città italiane. «Vent’anni fa, ma anche forse soltanto cinque anni fa, c’era ancora – racconta Andrea Segre – la convinzione strisciante, a volte implicita e a volte esplicita, che si stesse parlando di un’emergenza, di un momento particolare della storia in cui, come quando arriva un terremoto, un’eruzione vulcanica o un nubifragio, ci si ritrova davanti al problema e ci si interroga su come risolverlo».

E ora?

«Negli ultimi cinque anni è diventata abbastanza chiaro che non siamo di fronte a un’emergenza, ma a un fenomeno strutturale conseguenza della crescita inaccettabile della disuguaglianza, della crescita di crisi di vario tipo intorno all’Europa e, ma forse su questo c’è meno consapevolezza, anche della nascita dello spazio libero di movimento in Europa, è nato parallelamente alla crescita della chiusura di quella che molti chiamano “fortezza Europa”.

Il problema però è che a fronte di questa consapevolezza non è ancora ben definito quale sia il sistema di riferimento per capire dove nasca questo fenomeno, quindi di conseguenza il disorientamento è abbastanza ampio. Non mi stupisco affatto che ci sia una crescita di tensione, di chi ha o sente questa paura legata a questo fenomeno, perché adesso si è capito che questa cosa va affrontata e che era stata affrontata molto male».

Spesso il fenomeno migratorio viene trattato in forma emergenziale proprio da quei decisori politici che invece dovrebbero avere una visione di sistema. In questi anni siamo passati attraverso diverse stagioni politiche e di “sentimento popolare”, ultima in ordine di tempo quella degli attacchi alle ong nel Mediterraneo e degli accordi Italia-Tripoli per fermare le persone sulla sponda sud del mare. L’ordine delle cose si innesta proprio qui, in questa stagione. Perché questo titolo?

«Ho voluto provare a raccontare la struttura del problema, per questo il titolo è così ontologico: ho voluto provare a raccontare quale sia il modo in cui strutturalmente la nostra società e la nostra politica, e con “nostra” intendo come Stati europei, stia affrontando, o meglio forse non affrontando, il fenomeno strutturale delle migrazioni. Quello che il protagonista del film, Corrado, fa, è applicare un ordine ben preciso che prevede l’esternalizzazione dei confini, il contrasto all’immigrazione nel punto di contatto, cioè nell’ultimo miglio, e il non voler o non poter affrontare le cause della migrazione. Questo tipo di ordine produce inevitabilmente delle violazioni e delle violenze, perché non considera i bisogni da cui parte il fenomeno migratorio».

Che cosa intende?

«Noi non diamo alcuna risposta alla richiesta e al bisogno di muoversi, che non significa occuparci della disperazione dei poveri migranti che scappano dalle guerre, perché quella è una giustificazione umanitaria dentro la quale proviamo a non raccontarci quello che stiamo facendo. Noi non stiamo mettendo al centro della questione i bisogni da cui partono i viaggi che poi definiamo illegali proprio perché non ne vogliamo riconoscere la necessità, perché se ne riconoscessimo la necessità, definirli illegali sarebbe veramente offensivo. Se nostro figlio vuole andare a studiare o lavorare all’estero perché ha il bisogno o il desiderio di cambiare la propria vita e gli viene impedito, voglio vedere chi è disposto a dire al proprio figlio che è un un criminale e un clandestino, un “illegale”. Questo è uno sforzo di ridefinizione dell’ordine che dobbiamo fare se ci preoccupano le conseguenze etiche e umane dell’ordine stesso».

Il protagonista del film, Corrado, è un funzionario che si trova a vivere il conflitto tra l’ordine dato dalle leggi e la propria etica. Lo ha riscontrato in qualche figura reale?

«Devo dire che mi interessa fino a un certo punto il mondo dei funzionari, perché se trasferiamo la responsabilità a loro stiamo interpretando la democrazia in un modo veramente pericoloso. Non sono i funzionari i responsabili delle conseguenze ingiuste e violente di questo ordine. I funzionari per scelta fanno una professione che è proprio quella di far funzionare un ordine, per cui non possiamo chiedere a loro di romperlo. Quello che mi interessa dentro al conflitto psicologico ed esistenziale che vive Corrado è la rappresentazione del nostro conflitto, “nostro” inteso come parte di umanità che sta dentro a un privilegio».

Quindi il “noi” e il “loro” esistono?

«Chiaramente ognuno ci sta dentro in un modo molto diverso, e non voglio compattare il “noi” dentro a un corpo unico e generalizzato, così non voglio farlo con il “loro”.

C’è chi dentro a questo “noi” è critico, ma c’è anche chi sfrutta molto di più il privilegio, oppure chi invece è schiacciato da dinamiche di disuguaglianza interna simile a quelle della disuguaglianza esterna. Resta il fatto che chi ha un passaporto europeo, nordamericano, australiano e pochi altri, ha una posizione di privilegio rispetto a chi non ce l’ha, quindi è responsabilità dei cittadini che hanno questo tipo di privilegio interrogarsi su quale sia l’orizzonte di giustizia che questa condizione sta mettendo in discussione. La crisi di Corrado è la crisi che mi auguro tocchi la maggior parte di noi nel momento in cui ci fermiamo a pensare chi sia quella singola persona che non avendo quel privilegio subisce violenza. Se ci interroghiamo su questo capiamo che questa violenza e violazione ha una dimensione materiale molto forte».

L’obiezione più naturale a questa lettura delle migrazioni è legata alla sua sostenibilità. È la classica domanda: “dove li mettiamo”?

«Ecco, a questa domanda rispondo dicendo che questa è una reazione legata all’ordine così com’è attualmente. Io invece penso a un ordine in cui, dando la possibilità a sempre più gente di avere il diritto di muoversi, queste persone non invaderanno il nostro territorio come un corpo estraneo, unitario e di massa, ma si diffonderanno attraverso delle scelte più libere e più regolari. Ovviamente bisognerà riconoscere il diritto a persone con minore potere d’acquisto di cercare di raggiungere un luogo con maggiore potere d’acquisto, ma questo significa redistribuzione e lotta alla disuguaglianza, una cosa che va fatta anche all’interno delle nostre società».

A Roma domenica 3 dicembre si parlerà proprio di “Cambiare l’ordine delle cose” in questo. Da chi è partita questa iniziativa?

«Ci vuole una premessa: ho accettato con gran piacere che questo forum si chiami “per cambiare l’ordine delle cose” perché mi fa piacere che il film possa in qualche modo essere diventato uno strumento di attivazione civile, culturale, sociale e politica, ma sia ben chiaro che non è il forum né del film né tantomeno mio. È un forum che in questo momento registra quasi 800 iscritti da tutta Italia, da oltre 120 città d’Italia, alcune verranno anche da Torino, dal Piemonte, dalla val Pellice, da tutta Italia. Sono persone che si sono fermate a pensare, a capire, che hanno incontrato altre persone che sono state costrette a viaggiare in maniera illegale, oppure che lavorano in un settore complesso e in via di definizione come l’accoglienza. Sono persone che si sono fermate a studiare i fenomeni non attraverso la superficie mediatica o attraverso le censure o gli slogan che caratterizzano questo dibattito, e che quindi ora sentono la necessità di confrontarsi e prendere parola per avviare un percorso che provi a ridefinire quest’ordine. Se non ci proviamo andremo ad affrontare conseguenze discriminatorie, violente e umanamente intollerabili dell’ordine stesso».

Cosa succederà durante il Forum?

«Ci si dividerà in tre gruppi di lavoro che affrontano tre aspetti del tema: il primo riguarda i modi con cui si viaggia, infatti il gruppo di lavoro si chiama Vie regolari e canali umanitari, per fornire un’alternativa al blocco dei viaggi, un altro gruppo si chiamerà Dall’accoglienza al nuovo welfare solidale, affinché l’accoglienza non sia vissuta come dinamica caritatevole, umanitaria, di accogliere i poveri, cosa che sicuramente non è da abiurare ma che non è quello di cui parliamo. Qui infatti parliamo di come allargare il welfare al di là delle appartenenze nazionali, il che d’altronde è coerente rispetto a tutte le dimensioni della nostra vita, cioè quanto la dimensione economica, politica e culturale della nostra vita ormai trascenda la dimensione nazionale.

Allora anche il welfare dev’essere in grado di farlo.

Il terzo gruppo sarà Comunicare e agire nell’era delle migrazioni per studiare strumenti utili per far sì che questo cambiamento possa prendere piede. Questi gruppi lavoreranno tutta la giornata di domenica, ci auguriamo di arrivare alla fine della giornata con le prime necessarie, sicuramente non sufficienti ma importanti, proposte per avviare un processo di cambiamento».

L’ordine delle cose è in circolazione da tre mesi e ha avuto una grande accoglienza nelle sale. Ora che cosa succede?

«Arriverà la copia privata anche sulle piattaforme online. È un film co-prodotto dalla Rai, quindi andrà anche in televisione, ma devo dire che oggi è ancora molto viva l’attenzione e le richieste di proiezioni pubbliche in diversi tipi di sale. Credo sia una fruizione importante di questo tipo di film: potersi sedere in una sala insieme ad altre persone, partecipare a un evento pubblico, poterne poi parlare insieme è una fruizione ben diversa da un consumo privato, che può sicuramente permettere di riflettere ma che sappiamo a volte essere un po’ chiuso dentro una dimensione troppo individuale. A me piace che ci sia soprattutto una dimensione pubblica. Ci sono decine di proiezioni: solo questa settimana il film va a Narni, Perugia, Cesena, Faenza, Firenze, Palermo la prossima settimana e via così. Ci sono proiezioni anche ovviamente dove non ci sono io e dove c’è soltanto il film ed è possibile trovarle sul sito dedicato al film».