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Chi ha paura dell’etica?

Cambiate le vostre vie e le vostre opere, e io vi farò abitare in questo luogo
Geremia 7, 3

Vendevano le proprietà e i beni e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo
Atti degli apostoli 2, 45-47

Parlando della «grazia a buon mercato» il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer, nel suo Nachfolge, lamentava il grave e colpevole fraintendimento della predicazione di Lutero e dell’evangelo del sola gratia e sola fide: fraintendimento che porta a illudersi che possa esistere e sussistere un credere che non incide sull’esistenza. Non è un problema del secolo scorso, è tema di oggi nella discussione non sempre fraterna con cristiani di diverse denominazioni che hanno un rapporto diverso con la Scrittura e la teologia che ne consegue. È lo spinoso tema dell’etica, del collocarla al di qua o al di là di una linea che separerebbe le attività umane dalla purezza del «credere». Che cosa sia questo credere diventa difficile comprenderlo, e probabilmente anche rischioso se ascoltiamo la predicazione del profeta Geremia. Rischioso immaginare che il Tempio, la dimora santa che Dio ha stabilito nella terra offerta a Israele, sia sempre e comunque baluardo e protezione contro le potenze straniere. Rischioso immaginare che il Dio che lo abita sia sordo e cieco al grido di chi è oppresso e violentato nella completa indifferenza dei responsabili religiosi e politici del suo paese. Rischioso immaginare che sia sufficiente seguire il rito prescritto perché Dio difenda dalla storia che avanza a presentare il conto degli errori. Rischioso, e infine tragico, come tragica è la predicazione e la vita di Geremia che grida il dolore di un Dio offeso, preso in giro, adirato e costretto ad abbandonare la sua stessa amata eredità alla violenza della storia. Una storia che non invecchia, perché è rischioso oggi immaginare che il Signore della vita e della grazia stia indifferente di fronte alle dinamiche malate dei nostri rapporti di potere, alle prevaricazioni piccole e grandi, e sia sufficiente gridare «sola gratia» per continuare indisturbati ad agire «contro» l’evangelo. La salvezza è qui, è donata, non c’è da fare nulla e nulla si può fare per conquistarla; ma quando la vita salvata procede umiliando e facendo a pezzi il dono ricevuto a poco serve gridare la propria appartenenza al Cristianesimo, anche alla Riforma, e sempre esiste il rischio di gridare «Signore, Signore!» e sentirsi rispondere «Non vi conosco». È una parola decisa, non dura. È una Parola chiara e che salva aiutando a prendere coscienza che la vita vera promessa da Cristo ha bisogno di essere in ogni momento svegliata e ricevuta, e che il Signore della vita e della grazia abbraccia tutta l’esistenza, comprese le nostre vie e le nostre opere. Grazia annunciata e ricevuta, che sarà anche abitata se le vie e le opere apparterranno al Signore.

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