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Il Lutero del modernista della Normale Adriano Prosperi

La recentissima monografia che Adriano Prosperi ha dedicato a Martin Lutero, dal sottotitolo tematico Gli anni della fede e della libertà, in occasione del «cinquecentenario del padre fondatore della patria tedesca» è una proposta di «una semplice, elementare ricognizione sulle fonti del percorso intellettuale e religioso che portò Lutero alla polemica con il papato sulla questione delle indulgenze e alla definitiva frattura dell’unità del mondo cristiano»*.

La cronologia, non rispettata, conferisce al volume una dimensione non «consueta». L’abbrivio, infatti, è segnato dal giorno della morte (18 febbraio 1546), mentre si trovava nella contea di Mansfeld per affari di famiglia di cui rese conto alla moglie Catharina von Bora. Poi, la data di nascita (10 novembre 1483) in una lettera (14 gennaio 1520) all’amico Giorgio Spalatino per smentire quanti lo davano seguace di Jan Hus e, quindi, boemo, con notizie dettagliate sulle proprie origini; ciò, «in un contesto in cui la scrittura era secondaria e del tutto assente e dove dominava una cultura orale».

Conseguito il dottorato in Teologia, Lutero si sentì legato a tale ruolo per tutta la vita: «Gli obblighi di un dottore in teologia erano quelli di obbedire alla Chiesa, di non insegnare errori di fede già condannati». Guidato dalla solida convinzione che «“si deve disputare solo con il significato letterale che è unico per tutta la Scrittura”», insegnò Bibbia e la predicò sino alla fine dei suoi giorni. Allora, Prosperi indaga nelle e interroga le sue prediche, quelle degli anni 1519-1521. Il Riformatore, nello scrivere i testi dei suoi sermoni, con la mente andava anche oltre: «rifletteva sulla questione della coscienza, per esempio»; il che indusse a immaginarlo quale ribelle alle autorità, antesignano della libertà di coscienza. Invece, «fu dalla sua eredità, dalle cose che egli fece e scrisse, che doveva spuntare poi nella cultura europea l’idea della libertà di coscienza».

Il Sassone con le sue prediche andò allontanandosi vieppiù dalla Chiesa tardo-medievale: non era più il clero a esercitare il controllo sulle coscienze. L’unico e saldo appoggio per l’uomo stava nella sola Scriptura. Il 1° novembre, festa di Ognissanti, vedeva «l’afflusso di devoti disposti a pagare per accostarsi a quegli amuleti salvifici; l’atto di Lutero si rivelò perciò dirompente: fu un richiamo alla conversione evangelica. Le sue Tesi vennero condannate in specie da scolastici e aristotelici, oltreché tacciato egli stesso di superbia. Allora, cominciò a interrogarsi sulla veridicità o meno di esse» (così, da una lettera [11 novembre 1517]) firmata «Eleutherios». Poi, il 1518, l’anno delle Resolutiones, di Un sermone su indulgenza e grazia e di una Breve spiegazione dei dieci comandamenti – in un tempo di devozioni cristiane imbevute di idolatria. E un generale crescente consenso lo circondava.

Ormai, «appare evidente la presa di coscienza di una responsabilità più grande e più impegnativa a cui si sentiva chiamato». È un rivolgersi diretto al popolo: «quella che Lutero propone è una semplice catechesi fondata sulla Bibbia, un insegnamento rivolto al popolo cristiano per correggere abusi e superstizioni». Così, fra il 1517 e il 1518 assunse una nuova identità: da Martin Luder (carogna) a Martin Eleutherios (il liberatore), «mentre intorno andava diffondendosi di lui l’immagine del difensore e portatore della libertà». È il 1520. «Fu allora che Lutero portò a maturazione sintetica e chiara la sua idea della condizione propria del cristiano davanti alle richieste e alle imposizioni dei poteri supremi della società europea: il papa e l’imperatore».

La spada di Damocle della scomunica e di Worms pende sul suo capo. Ed egli attacca: «Il tempo di tacere è passato, è arrivato il tempo di parlare: così dice l’Ecclesiaste». È l’abbrivo del primo dei tre testi programmatici usciti in quell’anno: Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca. Un libello, sono sue parole, «atroce e feroce», mosso «da un impetuoso vento di libertà». Il secondo, La prigionia babilonese della Chiesa, è un ribaltamento della concezione della «Babilonia romana» dei sacramenti. Anche qui, un effetto liberatorio con il ricorso alle fondamenta scritturali. Il terzo è dedicato, segno di pace e non già di obbedienza, a Leone X: La libertà del cristiano. Nasce una nuova sorta di libertà, quella del cristiano, nata «dalle lotte religiose e politiche dell’età della Riforma: la libertà di coscienza. Fu Lutero con lo scritto del 1520 a fare il passo decisivo verso l’affermazione di quella libertà». Un testo dal contenuto da cui emerge il messaggio di liberazione e di libertà fondato sul sola Scriptura: «una minaccia vivente per i tutori dell’ordine costituito e per la Chiesa che se ne faceva garante».

Un passo indietro, al 31 ottobre 1517, vigilia di Ognissanti. «La mossa decisiva per la realtà complessiva dei popoli dell’Europa cristiana la fece un monaco agostiniano ossessionato dal peccato e determinato a riportare l’orologio del cristianesimo europeo all’epoca dei Vangeli e delle epistole di san Paolo».

* Adriano Prosperi, Lutero. Gli anni della fede e della libertà. Milano, Mondadori, 2017, pp. 586, euro 28,00.
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