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I ragazzi di Gafsa

Tratto da Nev – Notizie evangeliche

All’interno dell’hotspot di Lampedusa i ragazzi tunisini vivono le loro giornate nella certezza che da un giorno all’altro verranno rimpatriati nel loro paese. Le espulsioni previste dagli accordi bilaterali Italia-Tunisia li terrorizzano a tal punto che già da diversi giorni stanno portando avanti una protesta che ha assunto prese di posizione estreme. Infatti, alcuni di essi hanno intrapreso uno sciopero della fame e due di loro sono arrivati al punto di cucirsi la bocca in segno di protesta silenziosa.

La situazione in Tunisia

Già la scorsa settimana avevamo accennato alla situazione socio-economica in Tunisia, paese colpito da un tasso di disoccupazione elevatissimo (15,3% dalle ultime rilevazioni), che raggiunge anche il 40% fra le fasce di popolazione più giovani. Queste stime raggiungono livelli di criticità estrema nella aree meridionali del paese e dell’entroterra, più povere e svantaggiate dal punto di vista dell’assistenza sociale e delle infrastrutture. Alle condizioni di povertà date dalla mancanza di occupazione si devono aggiungere altri fattori che causano malcontento e che compromettono la tenuta sociale del paese: parliamo per esempio dell’inquinamento ambientale di alcune regioni ed i rischi per la salute ad esso associati; della corruzione endemica della classe dirigente e del sistema clientelare di assegnamento di posti di lavoro, già ben presente all’epoca in cui regnava Ben Ali ed ora apparentemente ancora più radicato; ci raccontano poi di una situazione in cui le violenze della polizia e le pratiche di tortura verso i detenuti sono all’ordine del giorno, in un clima di repressione del dissenso politico mascherato da lotta al terrorismo e alla criminalità.

L’appello dall’hotspot e la protesta pacifica

Il 27 ottobre un giovane tunisino ospite del centro ha postato sulla sua pagina Facebook un appello all’opinione pubblica internazionale in cui annunciava l’inizio dello sciopero della fame di alcuni ospiti. La decisione drastica si pone l’obiettivo di reclamare il diritto alla circolazione e di protestare contro l’espulsione forzata. Nel comunicato si legge: «Siamo minacciati dal rimpatrio forzato che viola quelle convenzioni internazionali che garantiscono la libertà di circolazione, che si oppongono alle politiche d’espulsione e alle convenzioni bilaterali ingiuste che danno priorità alla sicurezza delle frontiere a discapito del rispetto dei diritti universali. […] I nostri sogni non sono differenti da quelli dei giovani europei, che usufruiscono di una libertà di movimento nel nostro paese e altrove, alla ricerca di altre esperienze ma anche per promuovere la libertà, la giustizia sociale e la pace. Ci appelliamo alle persone libere che difendono l’esistenza di un mondo alternativo, dove dominano i valori universali e la solidarietà. Perché laddove il vostro denaro e i vostri beni circolano liberamente nel nostro paese d’origine, voi imprigionate i nostri sogni dietro i vostri muri».

In seguito abbiamo incontrato per le strade di Lampedusa tre giovani tunisini ospiti del centro, di età compresa fra i 25 e i 30 anni. Sono fra quelli coinvolti nella protesta pacifica e che stanno praticando lo sciopero della fame; abbiamo raccolto le loro testimonianze: li chiameremo Samir, Mohammed e Karim.

I ragazzi sono originari di Redeyef, cittadina dell’entroterra sud-occidentale tunisino e situata nel bel mezzo del bacino minerario di Gafsa. La Compagnia dei Fosfati di Gafsa (CFG) è stata per lungo tempo l’unico motore economico della regione, capace di generare da sola il 3% di tutto il PIL tunisino, in un paese che è uno dei principali esportatori di fosfati al mondo. Tutta questa ricchezza generata, però, non è stata redistribuita nella regione, che resta una delle più povere del paese e che presenta evidenti arretratezze dal punto di vista delle infrastrutture. A tutto ciò si aggiunge l’elevato livello di inquinamento da cadmio e uranio registrato nell’aria e nell’acqua, conseguenza dei processi di lavorazione del minerale e causa di drammatiche condizioni di salute degli abitanti dell’area, segnate da un’altissima incidenza di casi di tumori e altre gravi patologie.

Redeyef è la città da cui, nel gennaio 2008, si sollevarono le proteste degli abitanti in seguito alla diffusione dei risultati truccati dei concorsi di assunzione della CFG. La sollevazione degli abitanti di Redeyef è storicamente importante: essa diede luogo alla repressione violenta del fu governo di Ben Ali e viene considerata come il precursore di quei movimenti sociali che nel 2011, reclamando libertà, dignità e lavoro, portarono alla capitolazione dello stesso, nonché ai successivi moti rivoluzionari della Primavera Araba.

L’incontro nel nostro ufficio di Mediterranean Hope a Lampedusa

Samir: «Siamo tutti diplomati, (Samir parla un ottimo inglese, ha un titolo universitario che lo certifica ed è abilitato all’insegnamento, ndr) ma non ci sono possibilità economiche per noi. Non riusciamo a trovare lavoro e ci sono diversi membri delle nostre famiglie che non dispongono di alcuna forma di reddito. Ci sono molte famiglie, magari con 5 figli, che devono sopravvivere con un reddito base mensile di 400 dinar, ovvero circa 120 euro; con quei pochi soldi è impossibile mantenere una famiglia, e non sto parlando della possibilità di fornire una buona educazione, ma della possibilità di comprare il cibo ogni giorno.

Gli ospedali mancano e la nostra salute non è molto buona perché i fosfati la stanno danneggiando, guarda i miei denti… È colpa dell’acqua che beviamo, l’acqua del rubinetto, perché non possiamo permetterci acqua in bottiglia. La nostra salute è gravemente danneggiata dai fosfati e dagli altri componenti chimici, che quando respiriamo danneggiano i nostri polmoni. Anche le nostre ossa sono fragili come risultato di questo. In più, la disoccupazione e la povertà ci privano di un’assicurazione sanitaria, e quindi di cure adeguate. Le infrastrutture sono inesistenti e gli edifici dalle nostre parti non sono costruiti conformemente alle norme: non c’è nessun interesse per la tutela della nostra sicurezza, non siamo trattati come esseri umani.

Siamo preoccupati dallo sfruttamento delle risorse del paese – petrolio, gas, fosfati, pesca e turismo – e la ricchezza che ne viene generata. A noi di tutto questo non viene nulla, tutto quello che ne ricaviamo sono le malattie generate dall’inquinamento.

Siamo inoltre molto preoccupati dal crescente peggioramento della qualità dell’istruzione pubblica: il governo sta volontariamente abbassando il livello dell’educazione per rendere le persone meno consapevoli della loro condizione e meno inclini a sviluppare una coscienza critica. L’accesso al mondo del lavoro è condizionato dalle conoscenze e da un sistema clientelare: vince i concorsi e trova lavoro non chi ha conseguito i voti migliori, ma chi conosce le persone giuste o ha i soldi per pagarle».

Karim: «L’inquinamento ambientale causato dal fosfato presente nell’aria e nell’acqua ci sta rovinando la vita: l’incidenza di casi di cancro è altissima. Ho 30 anni e non sono ancora riuscito a trovare un lavoro, né un senso alla mia vita. Odio la mia vita e ho già tentato il suicidio una volta. Le tasse sono altissime e se non hai modo di corrompere le persone giuste non ti puoi aspettare nulla di buono dalla Tunisia: con le giuste amicizie e il denaro puoi trovare un lavoro, tutti gli altri restano senza. Il governo non si interessa di noi e dei nostri problemi».

Mohammed: «Gli abusi e le violenze della polizia accadono tutti i giorni. Sono stato in prigione per sei mesi solamente perché reclamavo un lavoro. Sono preoccupato poi dagli episodi di terrorismo che si sono verificati in Tunisia; è un fenomeno in espansione che interessa sempre più persone e io non voglio esserne coinvolto. Ho paura di essere nuovamente arrestato per avere partecipato a delle proteste ed essere in seguito accusato di terrorismo; il governo utilizza la lotta al terrorismo per reprimere ogni forma di dissenso politico e sociale.

Esistono enormi diseguaglianze e disparità, fra pochi individui ricchissimi e la quasi totalità che non ha niente. Un membro della mia famiglia è gravemente malato di cancro; soffre di dolori fortissimi alla testa, al cuore e allo stomaco, senza disporre dell’assicurazione sanitaria né dei soldi per comprare dei medicinali che possano alleviare la sua sofferenza».

Com’è la situazione all’interno dell’hotspot? Perché protestate?

Mohammed: «Amo tutto del centro, sto protestando solo perché non voglio tornare in Tunisia e sto facendo lo sciopero della fame per questo. Preferirei passare tutta la mia vita nel centro di Lampedusa piuttosto che essere rimpatriato».

Karim: «Prima di tutto vorrei ringraziare tutti gli italiani che lavorano all’interno del centro. Non sono mai stato trattato con tale gentilezza in tutta la mia vita; perfino gli agenti di polizia sono gentili con me, mi dicono sempre buongiorno e mi chiedono come sto. Vorrei restare in Italia, in Francia o in un altro paese d’Europa; sento che se avessi la possibilità di restare qui avrei modo di sfruttare le mie potenzialità e fare qualcosa di buono per me stesso. Ho molti amici e cugini che sono in Europa e hanno avuto modo di iniziare una vita dignitosa, soprattutto per quanto riguarda le donne, che godono di una maggiore uguaglianza e i loro diritti sono maggiormente riconosciuti.

Sono arrabbiato con il mio governo perché prende soldi dall’Italia negli accordi che riguardano i refoulements, e il fatto che qualcuno guadagni sul mio rimpatrio e sulla mia disperazione mi fa sentire come se fossi un prodotto di scambio. Non voglio tornare in Tunisia, preferirei morire, ho già tentato il suicidio una volta e sono pronto a farlo ancora».

Samir: «La stessa cosa vale per me: non metterò più piede in Tunisia, preferisco morire piuttosto che tornare indietro e sono pronto a suicidarmi se dovessero decidere di rimpatriarmi. È l’unica opzione che mi resta, veramente… ho passato l’inferno laggiù e non sono disposto a tornare a vivere in quelle condizioni. Lo ripeto, la nostra protesta non è contro l’Italia o le condizioni del centro, ma è diretta alle ingiuste politiche di refoulement che ci riguardano. Non abbiamo fatto niente di male e dovremmo avere il diritto di muoverci liberamente. Perché gli italiani e i francesi, per esempio, possono entrare in Tunisia senza visto, e noi no? Siamo tutti esseri umani e siamo tutti uguali. Abbaimo tutti avuto una madre che ci ha portato in grembo per 9 mesi e ci ha messo al mondo, abbiamo tutti ricevuto un’educazione e abbiamo studiato…Qual è la differenza fra noi e voi?»

Cosa cercate in Italia, o in Europa?

Samir: «Siamo alla ricerca di opportunità, vogliamo fare qualcosa di buono della nostra vita. Sin da quando ero bambino ho promesso a mia madre che avrei studiato e conseguito un dottorato. Questo non posso farlo in Tunisia, il livello dell’educazione è scarso e anche se ottenessi questo titolo sarebbe buono a niente nel mio paese. E poi voglio essere onesto, ci sono delle ragioni economiche per le quali sono partito. La vita è una sola e la voglio condurre in maniera decente, voglio viaggiare e avere il diritto a godere delle cose belle, com’è giusto che debba essere per tutti».

Karim: «Voglio cominciare una vita qui. Conoscere una donna, sposarmi ed avere figli, perché nella nostra religione è estremamente importante avere una famiglia: se ti sposi avrai conseguito la metà degli obiettivi della tua vita. Voglio avviare una famiglia e condurre una vita normale, come un normale essere umano».

Mohammed: «Anche io vorrei sposarmi e avere figli, ma più di ogni altra cosa non voglio tornare in Tunisia, dove ho sofferto molto e dove spesso mi sentivo mancare il respiro per la rabbia che provavo. Mi sentivo come se il governo mi discriminasse continuamente, come se non fossi un tunisino, perché ci sono molte differenze fra quelli del Nord e quelli del Sud come noi. Noi al Sud abbiamo le risorse ma chi ne beneficia sono solo le classi abbienti del Nord e le compagnie straniere. Altri paesi africani stanno vivendo guerre e massacri, noi è come se stessimo vivendo una sorta di guerra fredda, dove la tensione è onnipresente, la polizia ti tiene sempre sotto controllo e la vita quotidiana è stressante a dei livelli insopportabili».

Chiedo quindi ai ragazzi come mai, secondo loro, si stia registrando da tre mesi a questa parte un così alto numero di partenze dalla Tunisia verso l’Italia. La risposta è unanime, e riguarda l’improvvisa insostenibilità della loro condizione e dei fattori che la causano: disoccupazione, miseria e disperazione.

Immagine: By Ggia – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45303281