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Libertà e giustizia per Nuriye Gulmen e Semih Ozakca

Come ci aspettava, a Nuriye Gulmen è stato impedito di prendere parte anche alla terza udienza del processo del 20 ottobre. Ufficialmente perché “le sue attuali condizioni fisiche non lo consentono”.

Tre giorni prima la Commissione giudicante si era recata a chiederle una sua deposizione per registrarla e metterla agli atti, ma Nuriye si è rifiutata di rispondere in tale maniera alle accuse (comprese le nuove emerse grazie alle discutibili dichiarazioni di un ex militante) pretendendo di farlo di persona in tribunale.

Avevamo raccontato qui le vicende sue e di Semih Ozakca, arrestati perché sospettati di tramare contro il governo del presidente Erdogan in Turchia.

Le ragioni del governo di non far partecipare la donna al processo, non dichiarate ma evidenti, sarebbero almeno due:

impedire a Nuriye di parlare direttamente in tribunale e impedire che le sue attuali condizioni fisiche si vedano pubblicamente.

La grande capacità della giovane accademica* di argomentare, sostenere le proprie ragioni, costituiscono un pericolo a livello mediatico per il governo, mentre il suo aspetto, definito “spettrale” da chi ha potuto avvicinarla, metterebbe in cattiva luce la politica repressiva adottata dallo Stato turco.

Attualmente Nuriye è continuamente scossa da conati di vomito, ha seri problemi di vista, gravi difficoltà nel deambulare, praticamente è immobilizzata. Alta circa un metro e ottanta (1,79) attualmente pesa solamente 35 kg.

Presumibilmente siamo di fronte a un quadro serio di “patologia multiorgani” e alcuni danni potrebbero essere irreversibili. Non solo per il prolungato digiuno, ma anche per lo stress cui è sottoposta.

Invece l’aspetto di Semih Ozakca, per quanto emaciato, è stato evidentemente giudicato ancora “accettabile” dalle autorità e ha potuto presenziare.

Normalmente ai detenuti in Turchia è consentito di farsi fare delle foto per inviarle a familiari e conoscenti. Invece di Nuriye non esiste alcuna immagine da quando è incarcerata.

Tra le scuse accampate, la macchina fotografica del carcere non sarebbe stata funzionante. Poi, ma questa non era una scusa, il fotografo addetto si era suicidato (forse per ragioni personali, anche se il clima della prigione potrebbe aver influito).

Nemmeno gli avvocati hanno potuto riprenderla. Mentre in tribunale possono portare il telefonino, all’ingresso del carcere o dell’ospedale vengono perquisiti e letteralmente spogliati di tutto: telefonino, carte di credito, documenti…(e le guardie ne approfittano per deriderli, provocarli: “come ci si sente, avvocato, senza un documento, senza una carta di credito…”). A causa dei numerosi metal-detector non è possibile nemmeno introdurre una microcamera.

A un regista belga hanno smontato e distrutto perfino la custodia degli occhiali per controllare.

Chi vi ha assistito in qualità di osservatore internazionale (all’interno della solita prigione di Ankara, il carcere di Sincan), spiega che “stavolta il processo si è svolto in un’aula molto grande, ben amplificata, per cui quasi non vedevamo la Corte, ma comunque si sentiva bene e ognuno aveva la disponibilità di un traduttore”. Con una certa amarezza, sottolineava anche che “l’inviato del Manifesto, presente a Istanbul, non è venuto nonostante lo avessimo invitato”.

Erano invece presenti, oltre ad alcuni italiani, militanti solidali greci e un rappresentate dell’ambasciata canadese.

Quanto al processo “è apparso chiaramente basato su semplici deduzioni, illazioni della polizia”.

“Possiamo affermare – proseguiva il mio interlocutore – senza timore di essere smentiti, che di fatto la pubblica accusa è costituita dallo stesso Ministero degli interni”.

Del resto Erdogan si era proclamato “giudice di questo processo”.

I due imputati, ricordo, dopo essere stati arrestati per la loro protesta contro il licenziamento, sono stati accusati di far parte dell’organizzazione Fronte rivoluzionario della liberazione popolare (DHKP-C).

Oltre a Nuriye e Semih, viene giudicata, a piede libero, anche una terza imputata, Acun Karadag, altra insegnante vittima delle purghe governative.

Acun, cardiopatica con pacemaker, data la serietà della sua condizione sanitaria non è in sciopero della fame, ma ha partecipato quotidianamente alle proteste, duramente represse dalla polizia, contro la politica governativa.**

Acun ha inoltre rinunciato a difendersi finché a Nuriye non sarà permesso di essere presente in aula. Inoltre ha protestato per il fatto che le sia consentito di avere soltanto tre avvocati, mentre in genere il numero dei difensori è illimitato.

Durante il dibattimento Semih Ozakca e i suoi difensori hanno risposto a Berk Ercan, in video-conferenza da Istanbul. Si tratta di un prigioniero politico arrestato nel 2014 in quanto presunto membro dell’organizzazione DHKP-C, accusa da lui finora sempre respinta.

Solo recentemente, da circa un mese, si sarebbe “ricordato di averne fatto parte” stilando una lista di 110 nomi e facendo arrestare anche 15 avvocati e circa novanta militanti di Halk Cephesi (Fronte del popolo).

Berk sarebbe stato un semplice militante di base che da tempo si era comunque tirato fuori dall’impegno politico e in realtà non si sa nemmeno con certezza se effettivamente facesse parte di DHKP-C.

La sua testimonianza era stata resa pubblica tra la seconda e la terza udienza.

Ora Berk Ercan sostiene che i due imputati, Semih e Nuriye, facevano parte dell’organizzazione rivoluzionaria. Organizzazione che avrebbe ordinato loro di entrare in sciopero della fame per rilanciare un movimento analogo a quello sorto con Gezy Park ed estendere i focolai di ribellione delle migliaia di licenziati, molti dei quali invece di fuggire dalla Turchia hanno avviato forme di resistenza.

Prima dell’intervento del collaboratore era stato il giudice a chiedere a Semih se in passato si era recato a Istanbul e la risposta ovviamente era stata affermativa.

A questo punto era intervenuto Berk Ercan sostenendo di averlo incontrato in un quartiere, Okmeydani (notoriamente collocato politicamente a sinistra) in un parco ufficialmente dedicato a Ataturk, ma ormai universalmente conosciuto come il parco di Sibel Yalçin, una guerrigliera caduta in combattimento.

Peccato per l’accusa, le date coincidevano con il periodo in cui Semih svolgeva il servizio militare, ben lontano da Istanbul. A questo punto, dopo le risate suscitate in aula, come teste Berk Ercan avrebbe dovuto venir considerato totalmente non credibile, inaffidabile (un avvocato della difesa lo ha anche denunciato per falsa testimonianza). Invece le “prove”, del tutto inconsistenti, sulla presunta connessione di Nuriye con DHKP-C (un vecchio pc che Şafak Yayla le avrebbe regalato qualche anno fa, in una data nemmeno precisata) sono state ritenute valide.

Importante sottolineare che dopo il golpe, vero o presunto, è stata avviata una procedura per cui i prigionieri politici che accettano di fare i nomi di presunti rivoluzionari vengono pagati e possono godere di migliorie nella loro condizione carceraria. Non si tratta nemmeno formalmente di “pentiti”, ma semplicemente di collaboratori a libro paga.

Come già detto, Salih ha potuto tornare a casa sua (deve comunque portare il braccialetto elettronico) in attesa della prossima udienza mentre Nuriye è rimasta nel reparto di terapia intensiva. Praticamente in isolamento, con solo 5 (cinque!) minuti al giorno concessi alla sorella per visitarla e confortarla aggiornandola sulle iniziative, anche internazionali,*** a suo sostegno. Come ha detto un compagno: ”in questo momento è la solidarietà che la nutre”.

La prossima udienza doveva cadere il 27 novembre, ma gli avvocati della difesa sono riusciti ad ottenere che venisse anticipata al 17.

La situazione di Nuriye (a cui, ricordo, finora è sempre stato impedito di essere presente in aula) è talmente seria che ogni giorno in più costituisce un ulteriore pericolo per la sua stessa sopravvivenza.

*nota 1: Nuriye è ricercatrice di letteratura turca ed europea, profonda conoscitrice di Kafka. Inevitabile pensare a come la sua attuale vicenda, per tanti aspetti assurda, richiami quella, “kafkiana” per antonomasia, di Josef K. in “Der Prozess”.
Le nuove accuse (che si aggiungono a quelle vagamente surreali di aver utilizzato colori incriminabili come il rosso e il giallo) si basano sulle dichiarazioni del collaboratore Berk Ercan secondo cui Şafak Yayla (uno dei due componenti del commando dell’assalto al palazzo di giustizia di Istanbul nel 2015) anni fa avrebbe regalato un suo vecchio pc a Nuriye.
Per maggiori informazioni: http://contropiano.org/news/internazionale-news/2015/03/31/istanbul-fronte-rivoluzionario-prende-giudice-in-ostaggio-polizia-uccide-sequestratori-029982
** nota due: Tanto per la cronaca. Un osservatore internazionale ha raccontato di “aver potuto controllare direttamente lo stato in cui erano ridotte le aste degli occhiali corrose dai gas spruzzati nelle ultime manifestazioni. Gas sicuramente peggiori persino dei famigerati CS utilizzati a Genova nel 2001”.
Ricordo che è invece in sciopero della fame (da oltre 170 giorni) Esra, moglie di Semih, anche lei insegnante vittima delle purghe governative.
*** nota 3: in particolare va segnalato l’appello di alcuni parlamentari europei che si sono rivolti direttamente a Federica Mogherini chiedendole di “promuovere tutte le azioni diplomatiche possibili” in favore di Nuriye Gulmen e Semih Ozakca.
Questi i firmatari: Castaldo Fabio Massimo, Demesmaeker Mark, Hadjigeorgiou Takis, Piri Kati, Pittella Gianni, Valero Bodil, Vergiat Marie-Christine, Ward Julie, Zimmer Gabriele.
Per il 1 novembre è prevista una conferenza sul caso di Nuriye e Semih con alcuni europarlamentari a Strasburgo ( parlamento europeo)