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500 anni di testimonianza nella società

«Non siamo qui per celebrare la Riforma, ma per celebrare Te»: questo è forse il messaggio più importante che viene dalla giornata romana del 28 ottobre, organizzata dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) mentre stava volgendo al termine l’anno del «cinquecentenario». Non per caso è stato anche citato il documento Orizzonti di libertà – essere testimoni della Parola oggi letto a Milano nella giornata del 3 giugno scorso. Una preghiera, un modo per rivolgersi a Dio e ribadire che a lui solo va la gloria. Credenti e chiese vivono nella consapevolezza dei propri limiti, e però vogliono dire, con queste parole pronunciate dal pastore Luca M. Negro, presidente della Fcei nel tempio valdese di piazza Cavour, che questa è la dimensione in cui ci troviamo: un dialogo con Dio, con Gesù Cristo per unico mediatore, per intrecciare le nostre vite con i nostri compagni e compagne di lavoro, nella società, nel nostro Paese.

La diretta televisiva per una parte di questo avvenimento è stata funzionale proprio mettere a disposizione dell’Italia in cui viviamo l’eredità della storia e della cultura della Riforma. In questa direzione va anche il «dono» rappresentato da una nuova traduzione della Bibbia, a cura della Società biblica britannica e forestiera e della Società biblica in Italia: una traduzione per ora del Nuovo Testamento, presentato nel pomeriggio di sabato 28: il lavoro per avere la Bibbia completa è ancora lungo, ma intanto, ha detto il prof. Eric Noffke, presidente della Società biblica in Italia, aspettiamo le osservazioni e i commenti per procedere eventualmente a degli interventi per una successiva tiratura. I protestanti e la Bibbia: un rapporto che vale da sempre, e che il pastore Giuseppe Platone, appena accolta la Bibbia portata sul tavolo del tempio, ha sottolineato. Da sempre amiamo leggere la Bibbia, ma lo facciamo «sapendo che al contempo la Bibbia legge noi», cioè essa orienta e conduce le nostre esistenze.

Molti i momenti di questa giornata impegnativa. Innanzitutto, quelli musicali: il coro coreano, il coro «Note di pace», che riunisce credenti di diverse provenienze con radici nel coro Asaf del Dipartimento di evangelizzazione dell’Unione battista, la Fanfara dell’Esercito della Salvezza, il trio jazz Semper reformanda, e la presentazione del cd Da bimbo a bimba. Canti di ieri e di oggi, a cura del Servizio Istruzione e educazione della Fcei (applauditissimi, bambine e bambini diretti da Marta D’Auria). Ancora, nel pomeriggio, una carrellata su «La musica protestante dal XVI secolo a oggi» e poi, a chiusura della giornata, l’esecuzione della Sinfonia della Riforma op. 107 di Felix Mendelssohn Bartholdy. Musicista dell’epoca romantica, protestante di famiglia di origine ebraica, egli ebbe il merito di riscoprire e far eseguire la Passione secondo Matteo di Bach. Composta nel 1830, la sinfonia contiene nel suo ultimo movimento il tema del corale luterano Ein feste Burg ist unser Gott («Forte rocca»). E anche questo è un elemento significativo per capire in che modo la Riforma è stata anche una questione di cultura.

Prima degli ultimi eventi musicali si era tenuto il culto: un momento fortemente voluto per significare l’apertura di queste celebrazioni anche alle chiese che non fanno parte della Fcei. Condotto dal presidente Negro, ha visto le predicazioni della pastora valdese Maria Bonafede (Consiglio Fcei) e di Carmine Napolitano, presidente della Federazione chiese pentecostali. Il testo era quello di Galati 5, da cui era tratto anche il versetto 13 riprodotto sulle sciarpine pensate per la giornata. Voi siete stati chiamati alla libertà: la libertà è il grande dono che la fede scopre – ha detto Bonafede, rifacendosi poi alla Libertà del cristiano di Lutero –: noi lo sappiamo grazie a tutta la storia che ci precede, ed è, con Lutero, paradossalmente la libertà di servire il nostro prossimo. Un servizio alla libertà anche di coloro che la libertà non hanno ancora.

In definitiva: una rivoluzione nel modo di intendere il rapporto tra Dio e l’umanità; un nuovo rapporto del credente con la cultura; una società che si vuole legata a concetti come quello biblico del patto (sanno – è stato detto nella tavola rotonda della mattina – quelli che parlano di federalismo, da dove deriva la parola?) e che comunque vive di solidarietà (quanto importanti i riferimenti a chi è straniero e profugo, quando, parlando di corridoi umanitari si è sentita la testimonianza di una donna siriana; e d’altra parte proprio questo intendiamo quando diciamo Liberi per amare e servire). Non per caso Giorgio Tourn, pastore e storico valdese ha dedicato una trilogia per l’editrice Claudiana a questi termini. Non certo un punto di arrivo, una sfida da cui ripartire in vista di altri 500 anni; nel segno, anche, dell’ecumenismo, di una condivisione di un patrimonio di fede che coinvolge le diverse confessioni e si rivolge a tutti coloro che incontriamo nelle nostre giornate.

Immagine di Martina Caroli