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Un viaggio in Slovacchia, tra cultura, selvicoltura e…Riforma

L’attuale Slovacchia é il frutto di una serie di vicende storiche complesse che fin dall’antichità ha visto talora amalgamarsi e talora combattersi popolazioni e dinastie germaniche, slave e magiare presenti in questo settore dell’Europa centrale. Dopo le più antiche invasioni barbariche ad asiatiche di questa situazione approfittarono in tempi più recenti diverse potenze straniere come i Turchi ottomani, gli ungheresi e gli Asburgo, che a lungo dominarono questo territorio. Con le vicine regioni boeme, morave, magiare, ucraine (ruteni), austriache e germaniche vi fu dunque una continua serie di scambi e di scontri, unioni e divisioni. La Cecoslovacchia unitaria come l’abbiamo conosciuta fino alla fine degli anni ‘80 ebbe origine solo dopo la prima guerra mondiale su iniziativa di profughi boemi, moravi e slovacchi emigrati negli Stati Uniti con il patto di Pittsburgh nel 1918 (poi ratificato a livello internazionale dal trattato di Saint Germain nel 1919). Dopo l’invasione tedesca dei Sudeti del 1939, l’ultima guerra mondiale e alcuni tentativi per una repubblica democratica unitaria vi fu l’inclusione nella zona d’influenza sovietica e l’adesione al patto di Varsavia. Con la rivoluzione di velluto (novembre-dicembre 1989) e il dissolvimento della Cecoslovacchia (1993) la Slovacchia mosse così verso l’indipendenza e aderì in seguito prima all’Unione Europea nel 2004 e in seguito, contrariamente ai “cugini” della Repubblica Ceca, alla zona Euro nel 2009.

Questo grande impasto storico di popoli e di vicende, l’ateismo di stato del periodo comunista e l’attuale forte secolarizzazione ha reso mutevole nel tempo e nello spazio anche la ripartizione delle diverse fedi presenti in questo territorio: pur essendo a prevalenza cattolico-romana e pur dichiarandosi oggi agnostici buona parte degli abitanti del paese, in molti villaggi e piccole cittadine del centro e dell’occidente della Slovacchia é possibile notare ancora la compresenza di chiese cattoliche e luterane, mentre nei settori più orientali aumenta la presenza di comunità e luoghi di culto ortodossi e greco-cattolici. Alcuni poster sul cinquecentenario della Riforma appaiono qua e là nelle città e nei paesi. Ma è la presenza di edifici di culto tradizionali in legno che attira spesso l’attenzione del viaggiatore: e si scopre che alcuni di questi sono templi protestanti, spesso accomunati da vicende storiche e costruttive piuttosto singolari.

La singolare vicenda delle chiese articolari

Verso la fine del ‘500, il 90% della popolazione della Slovacchia era favorevole alla Riforma che stava in quei tempi diffondendosi in Europa. Dopo il Concilio di Trento e la sanguinosa guerra dei Trent’anni, gli Asburgo, in genere educati da gesuiti spagnoli, dominavano questo territorio ed ebbero parte attiva nel cercare di contrastare lo sviluppo del Protestantesimo. Tutto iniziò dalla sconfitta boema a Biela Hora vicino a Praga nel 1620 ad opera della lega cattolica: i boemi, favorevoli alla Riforma, persero l’indipendenza. Tuttavia più ad est i principi della Transilvania erano favorevoli alla riforma di Lutero e buona parte della Slovacchia era ancora occupata dai Turchi che sostenevano alcuni nobili magiari con simpatie protestanti. Data questa situazione di pressione e nonostante la sconfitta dei turchi, nel 1681 Leopoldo I di Asburgo arrivò ad un compromesso sulla costruzione di nuovi edifici di culto protestante nella cosiddetta assemblea di Sopron, cittadina dell’attuale Ungheria ai confini con l’Austria: qui venne convenuto che l’edificio di culto protestante

– doveva essere costruito nell’arco temporale di un solo anno;

– non doveva avere fondamenta;

– doveva essere costruito con solo legno (senza chiodi o parti in metallo e muratura);

– non doveva avere un campanile oppure quest’ultimo doveva essere distanziato dall’edificio principale ed essere di dimensioni ridotte;

– doveva avere un’entrata che non fosse sulla strada principale del paese.

Questo accordo era dunque fondato sull’accettazione di diversi articoli, spesso fortemente vessatori e fu per questo che le chiese protestanti edificate sulla base dell’assemblea di Sopron vennero definite come “chiese articolari”. Per complicare le cose spesso veniva rilasciato il permesso di edificare le chiese protestanti solo in luoghi paludosi o su isole lungo i fiumi: e questo fu il caso anche del tempio di Hronsek, villaggio situato tra le città di Zvolen e Banska Bistrica lungo il fiume Hron. Per ovviare a tale inconveniente furono piantati dei tigli tutt’attorno all’edificio con il compito di assorbire l’acqua in eccesso nel suolo e bonificare in qualche modo questo luogo. Nonostante tutte queste limitazioni non solo l’edificio fu costruito nei tempi richiesti (e inaugurato per l’occasione pure il 31 ottobre 1726 !), ma fu centro di attività di fede e di cultura capace di ospitare più di un migliaio di persone al suo interno: oggi alcuni di essi, come quello di Hronsek e come altre chiese cattoliche ed ortodosse in legno, sono diventati patrimonio mondiale dell’umanità (UNESCO), portatori quindi di una particolare unicità storica ed architettonica.

A Hronsek i tigli sono ancora oggi in buono stato vegetativo: due di loro hanno la medesima età della chiesa, dunque hanno quasi 300 anni. Il tiglio (“lipa” nelle lingue slave), sia quello cordato che quello a grandi foglie, è un albero sacro per le antiche popolazioni slave e germaniche: non mancano mai accanto alle altre chiese cattolico-romane e ortodosse oppure presso i cimiteri della Slovacchia. Anche in Germania esistono tuttora “Dorflinden” e “Friedenlinden” piantati per salutare la fine di una guerra o di una epidemia, come da noi vennero piantati gli “alberi della libertà”: la stessa città di Lipsia (Lipsk in lingua soraba) indica un luogo con presenza di tigli. Simbolo del popolo sorabo (di origine slava), il tiglio appare in numerosi vessilli e bandiere storiche della Slovacchia.

E questo è il primo incontro tra cultura, boschi e Riforma: veniamo ora al secondo.

Educare all’incontro tra uomini e natura

Questo recente viaggio di studio in Slovacchia è stato organizzato dall’Institut des Sciences de l’Environnement et des Territoires d’Annecy (ISETA) come un’occasione per scoprire il paese anche nei suoi aspetti storico-culturali. La prima accademia tecnica forestale e mineraria europea fu infatti promossa da Maria Teresa d’Austria e fondata nel 1762 a Banska Stiavnica, nella Slovacchia centrale, per le esigenze dello sviluppo minerario di questa zona per la quale era necessario poter gestire grosse quantità di legname per la costruzione delle gallerie e delle strutture minerarie, regimandone le acque che vi erano presenti in gran quantità. In seguito, questo istituto fu spostato nella vicina città di Zvolen, dove esiste a tutt’oggi. Fin dagli anni ’60 erano presenti contatti tra il mondo forestale francese e cecoslovacco: nel 1991 contatti ulteriori avviati nel frattempo permisero uno scambio di studenti, insegnanti e ricercatori tra l’ISETA di Poisy, l’ENGREF di Nancy e la facoltà forestale di Zvolen e per molti studenti slovacchi fu questo il primo momento di scoperta dell’Europa occidentale durante un viaggio di studi in Francia. Ne seguirono poi altri, fino a quest’ultimo dell’ottobre 2017, data per molti di noi oramai indissolubilmente legata al cinquecentenario della Riforma. A proposto, ma cosa hanno avuto dunque a che fare selvicoltura e Riforma protestante in questo viaggio ?

Prima suggestione: l’organizzatore del viaggio, François Chenot, professore di assestamento forestale all’ISETA di Poisy, è protestante e fa parte della Chiesa Riformata francese. Di famiglia originaria di Montbéliard (Franche Comté), a cavallo tra Giura e Basilea, non ha mancato di spiegare alla trentina di suoi allievi ventenni le grandi linee della Riforma protestante e quale fosse l’importanza della Riforma per l’insegnamento universale a partire da quanto fece Pierre Toussain, riformatore a Montbéliard assieme a Farel ed Ecolampadio. Toussain, arrivato a Montbéliard nel 1535, fece subito aprire una scuola per ragazzi e ragazze, cosa non certo consueta per l’epoca.

Seconda suggestione: forse non tutti conoscono l’espressione francese, molto evocativa, di “école buissonière”, in parte traducibile in italiano con il “marinare la scuola” (cosa che ne impoverisce enormemente il significato) oppure avvicinabile all’espressione di ambiente tipicamente urbano di “fare la scuola della strada”. Ebbene, questa espressione pare risalga ai tempi di Lutero e viene riferita ad una scuola più o meno clandestina in campagna o nei boschi, là dove non era possibile effettuarla nelle scuole dei villaggi dirette dal clero. Non si può dire se tale espressione abbia una validità storica, ma sicuramente è molto suggestiva anche a livello simbolico (vedere alcune canzoni di “chansonniers” francesi e il recente film omonimo, se mai uscirà in Italia).

Come credenti siamo chiamati ad essere i custodi del Creato: chi ha avuto l’occasione di visitare Wittenberg nel periodo tra il Kirchentag e durante tutta l’estate delle celebrazioni del cinquecentenario della Riforma avrà potuto notare quale ricchezza di collaborazioni, associative ed ecumeniche, erano presenti nell’ambito del padiglione 4 “Giustizia-Pace -Salvaguardia del Creato” (Transformationspavillon).

Si apprendono tante cose in bosco oltre alla selvicoltura e l’uomo può ricevere molti stimoli: in un bosco ci si può ad esempio confrontare con quanto in esso esiste di simbolico, di immaginario e di reale, aspetti che strutturano i soggetti umani secondo alcune scuole di psicologia. In bosco e nella natura ci si confronta con i cicli della vita e con la morte ed é bene non lasciare tutto questo solo alle filosofie new-age. Ci si confronta con i propri limiti, con i limiti del genere umano e con i limiti dei sistemi naturali. Il bosco è un luogo significativo per apprendere il senso della vita di ognuno e della vita di ognuno nella comunità. In bosco si giunge all’individuazione di sistemi resilienti: la parola resilienza, oggi molto utilizzata in vari ambiti, ha infatti origine nello studio degli ecosistemi forestali. L’approccio alla conoscenza degli ecosistemi forestali e all’individuazione di modalità che oggi definiremmo eco-sostenibili dell’uso delle risorse forestali è promosso in Europa dall’associazione internazionale ProSilva ed è legato alla concezione di modalità di gestione prossime alla natura, a partire dallo studio dei cicli naturali. Ci si occupa della conservazione e della promozione di tutti i valori e funzionalità del bosco, sia a vantaggio dell’uomo che a vantaggio degli altri organismi presenti nell’ecosistema. Non ha quindi ragione di esistere il solito, ricorrente, ma oramai obsoleto dualismo tra uomo e natura nell’utilizzo delle risorse naturali. Nell’attuale tempo di cambiamenti climatici (global change) più che mai questo approccio legato alla conoscenza dei cicli naturali risulta quello più conveniente per tutti.

Immagine: By Juandev – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25503803