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Germania, quote per i rifugiati?

Le recenti elezioni in Germania e l’avanzata del partito xenofobo Afd, Alternative für Deutschland, hanno riportato la questione migratoria al centro del dibattito politico tedesco. Nel tentativo di formare un governo, che ancora una volta dovrà essere di coalizione, la cancelliera Angela Merkel ha accettato per la prima volta l’ipotesi di introdurre una soglia annuale al numero dei rifugiati accolti dalla Germania. La richiesta proviene dalla Csu, l’alleato bavarese del partito della cancelliera, la Cdu, e l’idea è quella di non superare i 200.000 ingressi in un anno.

Secondo Jan-Christoph Kitzler, corrispondente dall’Italia dell’ Ard, la radiotelevisione pubblica tedesca, l’accordo «non è affatto una legge». Questo significa che la cancelliera è stata eletta con il diretto sostegno di Cdu/Csu, ma per formare il governo sarà ancora necessario trattare. «Pensiamo – prosegue Kitzler – che si formerà una coalizione che definiamo “Giamaica” che, oltre alla Cdu/Csu comprende anche il partito dei Verdi e i Liberali di Fpd, che vorranno far sentire la propria voce su questo argomento, e ho forti dubbi per esempio che i Verdi lo accettino». Nel programma dei Verdi, in effetti, viene ribadito che il diritto d’asilo è un valore assoluto per chiunque ne abbia bisogno. «Un discorso diverso – suggerisce Kitzler – sarebbe ragionare su una vera e propria legge di immigrazione, che in Germania adesso non c’è, allora si potrebbe discutere del mercato del lavoro, magari si potrebbe pensare di introdurre una soglia a quante persone possono accedere, definendo quanta gente manca nel paese per svolgere certi lavori, ma questo non ha niente a che vedere con la crisi migratoria attuale».

Perché la Csu ha voluto fare così tante pressioni su questo tema?
«La variante bavarese del partito della Merkel è in acque difficili. La politica di questo partito è sempre stata di “chiudere il fianco destro”: il vecchio detto dello storico presidente del partito, Franz Josef Strauß, che sosteneva che non ci dovesse essere nessun partito a destra della Csu. Questa legge di Strauß, che è quasi un santo in questo partito, è stata violata dall’Afd, il movimento di estrema destra e ultrapopulista che sta togliendo molti voti alla Csu. Il problema dei cristiano-sociali è che il prossimo anno ci sarà un’importante elezione regionale, e con la sconfitta che hanno avuto anche in Baviera, perdendo più del 10% dell’elettorato nella Bundestagswahl, ora devono marcare quel “fianco destro” che vogliono chiudere. Ecco, proprio qui entra nel gioco quella soglia massima della quale parlano già da tanto ma che la Merkel aveva sempre rifiutato di introdurre. Adesso questo compromesso è il segnale che questo partito in Baviera può andare avanti con una politica abbastanza di destra sulle migrazioni».

Tuttavia le richieste d’asilo in Germania sono in netta discesa: nel 2015 erano 890.000, mentre nel 2016 sono state 280.000, cioè appena un terzo rispetto all’anno precedente. Eppure questo continua ad essere un tema molto sentito. Perché?
«Perché l’Afd ha giocato molto sul tema della migrazione. La campagna per il Bundestagswahl è stata dominata da questo argomento, anche se i numeri sono in deciso calo, e se guardiamo i numeri dei primi mesi del 2017 si vedono molto meno richiedenti asilo arrivati in Germania e molti meno che fanno domanda. Insomma, quel problema non è così grande come l’Afd ha fatto credere a una gran parte dell’elettorato evocando la paura di tanti stranieri che sarebbero un problema per l’esistenza stessa della Germania. La paura diffusa ha funzionato, ma se uno guarda i numeri, vede che la Afd ha vinto soprattutto nelle zone della Germania est e nel sudest, dove i migranti non sono neanche tanti, ma dove ce ne sono molti, cioè nelle grandi città, l’Afd non ha avuto un grande successo. Quindi, nonostante guardando i numeri quello delle migrazioni sia un tema sempre meno importante, a livello emozionale è stato il tema più forte di tutta la campagna elettorale».

Il timore per l’elettore tedesco è più di tipo culturale, ovvero il timore di una “invasione”, o è più portata dal rischio di social dumping, di una competizione scorretta sul mercato del lavoro?
«È un po’ un misto. Poi ci sono dei problemi concreti, per esempio in Germania ora mancano le case per tanta gente: se a Berlino si cerca una casa economica si incontrano grosse difficoltà, tante persone che non possiedono grandi entrate e devono trovare una casa economica possono pensare che ci sia un’emergenza di migranti, perché tante persone che sono state nei centri di accoglienza ora cercano di integrarsi, quindi cercano una casa anche loro e così facendo alzano la pressione sul mercato e questo fa paura.
Oltre a questo, ci sono dei casi di violenza che soprattutto da Afd sono stati attribuiti ai migranti, per esempio violenze sessuali, ma non c’è nessuna statistica criminale che possa confermare quel nesso, ma intanto si è alimentata la paura, usando anche tante false notizie. Infine c’è una parte di elettorato anti-élite, anti-establishment, che ha votato questo partito come protesta ma che non è convintissimo del programma di questo partito, anche se l’ha usato come veicolo per trasportare una violenza diffusa connessa soprattutto con una paura di discesa sociale, di disoccupazione. Tuttavia è strano, perché bisogna dire che la situazione dell’occupazione in Germania è la migliore dai tempi dell’unificazione: i motivi per avere questa paura sono veramente pochi».

Il tema è quindi molto sentito. È altrettanto interessante, per il pubblico tedesco, anche sapere che cosa succede in Italia a proposito di migrazioni?
«C’era un grandissimo interesse quando sono arrivati in tanti anche in Germania. Sappiamo che per l’Italia questa emergenza di cui si parla in verità non è una emergenza, ma è una situazione che va da anni, con numeri a volte più alti e a volte più bassi, e l’Italia sta facendo un grandissimo lavoro nella prima accoglienza e per gestire una situazione che è difficile già già da un po’ di anni.
In Germania la gente se n’è accorta veramente poco, si tende a chiudere gli occhi su quello che sta succedendo nel Mediterraneo, anche se adesso sembra che sempre di più si sia capito anche politicamente che bisogna lavorare anche in Africa, in Libia, per risolvere il problema. L’Italia non può essere lasciata da sola, non basta travasare semplicemente dei soldi, ma bisogna trovare dei meccanismi per risolvere veramente il problema».