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Contro il nucleare l’Italia deve cambiare direzione

Come già raccontato su Riforma venerdì 6 ottobre, il premio Nobel per la Pace 2017 è stato assegnato a Ican, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari.

Nell’ottobre del 2016 il Primo Comitato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva avviato le trattative per arrivare a uno strumento giuridicamente vincolante per proibire le armi nucleari, ottenendo il supporto di 123 Paesi. A luglio 2017, questo percorso aveva portato al Trattato per la proibizione delle armi nucleari, definito dalle stesse Nazioni Unite come «il primo strumento multilaterale e vincolante in direzione del disarmo nucleare negoziato negli ultimi vent’anni».

Da qui la decisione del Comitato per il Nobel, che ha motivato il premio con il lavoro svolto «per richiamare l’attenzione sulle catastrofiche conseguenze umanitarie di ogni uso delle armi nucleari e per i suoi sforzi rivoluzionari verso un divieto nei confronti di quelle armi sulla base di un trattato».

«La soddisfazione – racconta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, che fa parte della campagna Ican – è stata enorme, ma credo che il Comitato per il Nobel abbia voluto premiare un lavoro di ponte, nel senso che non si è riconosciuto un lavoro già concluso, come accaduto l’anno scorso in Colombia con il premio al percorso di pacificazione con le Farc». Certo, il risultato ottenuto non si può negare, ma sembra chiaro a tutti che si tratti soltanto di un inizio. «Ora – prosegue Vignarca – questo trattato va ratificato, deve entrare in vigore, essere universalizzato. Soprattutto, deve iniziare a comprendere anche Paesi sotto gli ombrelli nucleari, quindi credo che il Comitato Nobel abbia voluto da un lato celebrare un risultato raggiunto, ma anche dare nuova spinta, nuova energia per i mesi di lavoro che continueranno a essere davanti a noi».

Aver raggiunto un trattato internazionale è un passo importante, che vede una significativa partecipazione italiana grazie alla Rete Disarmo e alla campagna Senzatomica, ma che difetta, per il nostro Paese, sul piano istituzionale. L’Italia infatti non ha ratificato il trattato. «Non solo, perché – ricorda Vignarca – l’Italia non ha voluto partecipare né al voto che ha istituito le conferenze che hanno negoziato il trattato, né ai negoziati stessi, nonostante la nostra pressione e nonostante il fatto che la maggioranza della popolazione italiana sia contro le armi nucleari e voglia un disarmo nucleare».

Questo premio, insomma, non è né un riconoscimento sulla fiducia, né un punto di chiusura, ma va visto come uno strumento in più nelle mani di un’iniziativa che a livello popolare è supportata da una netta maggioranza. «Proprio per questo – ricorda Francesco Vignarca – abbiamo rilanciato un’iniziativa che si chiama Italia ripensaci, che parte da una lettera scritta alla presidenza del Consiglio nella quale ricordiamo che si può sempre sbagliare, ma che si può anche ripensare a ciò che si è fatto. Tra l’altro la nota della Farnesina a seguito del Nobel è discutibile, perché ci hanno messo 10 ore a far uscire un comunicato che non solo non si congratulava con la campagna, ma oltretutto ignorava integralmente il trattato. Ci sembra una fase di rimozione non positiva, ma noi cercheremo di lavorare affinché ci sia un cambio di direzione».

Martedì 10 ottobre questa iniziativa verrà ulteriormente spinta, perché a Roma arriverà Susi Snyder, presidente del Comitato di coordinamento di Ican, che ritirerà il premio Colombe d’oro di Archivio Disarmo, che era già stato assegnato prima del riconoscimento del Nobel.

Il Trattato sta raccogliendo un numero crescente di adesioni, tra cui per esempio quella dell’Iran, che, nonostante le accuse del presidente statunitense Donald Trump, ha deciso di appoggiare l’iniziativa. Al contrario, proprio gli Stati Uniti, al pari di Russia e Cina, non ha ancora dato il proprio appoggio al percorso di disarmo, mostrando quindi una frattura tra le potenze nucleari e chi non ha questo genere di armamenti. Un discorso a parte va però fatto per chi, pur non possedendo proprie armi nucleari, ospita quelle di altri Paesi, ovvero la condizione dell’Italia. «Il nostro problema – ricorda infatti Vignarca – è che siamo uno dei cinque Paesi in questa condizione, ovviamente con testate statunitensi. Ci siamo noi, la Germania, i Paesi Bassi, il Belgio e la Turchia. Si tratta di testate ormai presenti da decenni sul territorio di questi Paesi, le cosiddette “armi nucleari tattiche” che ormai però, sia per la loro limitatezza, sia per la tipologia d’uso, non hanno nessun valore nemmeno militare. Sarebbe importante che da questi Paesi venisse un segno contrario. Il trattato per ora è stato firmato e verrà ratificato solo dai Paesi che non hanno il nucleare, però è un modo per mettere fuori dalla storia e fuori dalla legge, dichiarare fuori dalla legge almeno per questi Paesi l’arma nucleare, che è inumana, indiscriminata e altamente distruttiva. L’Italia è un Paese chiave, proprio per questo è importante che ci sia un cambio di direzione».