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C’erano un volta i dadi…

Slot-machines, più banalmente macchinette: periodicamente si accende la polemica sulla loro presenza nei bar, sulle limitazioni che ci dovrebbero essere, come la distanza dalle scuole, poi cala il silenzio e si ricomincia… In realtà, tanto più con il diffondersi del gioco on-line fatto in modo solitario da casa, la cosiddetta ludopatia cioè la dipendenza patologica dal gioco d’azzardo sta diventando più grave e diffusa delle tossicodipendenze… Azzardo: viene da una parola araba, az-zahr, che vuol dire dado: il gioco dei dadi, come quello carte, piacevole e socializzante, può diventare rovinoso se associato ai soldi. E se una volta si puntava sui cavalli, sui cani o sui combattimenti dei galli, oggi si scommette su tutto e si è continuamente invitati a scommettere con promesse di cospicui guadagni, mentre l’unica cosa certa nel gioco d’azzardo è che si perde sempre.

Nell’anno della Riforma e per non parlare sempre (perfin troppo) di Lutero, sono andato a frugare tra i vecchi opuscoli per cercare qualcosa sul gioco. Sappiamo molto sul ballo e sulla sua invadenza. In uno scritto dello storico valdese Arturo Pascal, dal bel titolo: La Società e la Chiesa in Piemonte, considerate in se stesse e nei loro rapporti colla Riforma (Pinerolo, 1912) leggiamo: «Una vera piaga affliggeva la società piemontese del ’500: la smania, il delirio del gioco. Non solo si giocava disperatamente alle carte, ai dadi ai tarocchi, ai birilli, al pallone nelle vie, sulle piazze, ma si spingeva il furore del gioco nei cimiteri e nei conventi. Se a Caraglio una comitiva di giovani non aveva saputo trovar luogo migliore dell’atrio della chiesa parrocchiale per ludere ad pilam, altrove giocatori di dadi e tarocchi avevan scelto come luogo e ora più propizia la chiesa durante la predica. I giochi proibiti, ossia di azzardo, appassionavano in modo speciale tutta questa gente sfaccendata, che colla maggior indifferenza poneva in risico somme ingenti di denaro…». Pascal continua sullo stesso tono a proposito di sete sfrenata di godimento, di lussuria e immoralità dei costumi: dalla Francia arriva fino ad Asti l’uso del bacio pubblico fra uomini e donne (!), ma poi si parla di cose assai più pesanti, abusi su giovanette, adulteri, incesti. avvelenamenti, libertinaggio, figlie costrette al disonore e alla prostituzione. Per non parlare di ciò che avveniva nei conventi… Il Cinquecento in Piemonte, come altrove, non si riduce ovviamente a questo, ma è indubbio che «l’immoralità della società laica si riflette sinistramente nella società ecclesiastica del tempo, il cosiddetto Alto e Basso Clero».

Interessante la conclusione di Pascal: «se la Riforma anziché precedere e preparare l’opera rigeneratrice del Concilio di Trento, avesse potuto valersi dei benefici effetti da essa prodotti in Piemonte sui tre ordini sociali (popolo, borghesia e nobiltà), non vi è dubbio che avrebbe conseguito un ben maggiore successo. Alla Riforma mancò il tempo per farlo perchè la persecuzione violenta e micidiale spezzò a mezzo l’opera sua…»

Immagine: via istockphoto.com