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Passi avanti nella lotta al gioco d’azzardo?

Il 7 settembre c’è stato l’accordo sul riordino del settore del gioco d’azzardo in Conferenza Unificata Stato-Regioni e Enti Locali, che ha concluso un percorso lungo un anno e mezzo. Tra le conferme operative dell’incontro vi sono il dimezzamento in 3 anni dei punti gioco in Italia, la sostituzione dei dispositivi più vecchi, rimpiazzati con altri collegati con i Monopoli di Stato, e soprattutto la possibilità per i sindaci di scegliere le fasce orarie di chiusura e la distanza da luoghi sensibili come scuole e chiese. Ora occorre attendere però il decreto attuativo di fine ottobre. Ne abbiamo discusso con Marco Dotti, docente all’Università di Pavia, autore di diversi libri sul gioco d’azzardo, collaboratore del periodico Vita e tra i fondatori del movimento NoSlot.

Cosa cambia realmente con questo accordo?

«Giunge dopo più di un anno di dibattito, acceso e critico, e partiva da una bozza di accordo di più di un anno fa che era inaccettabile perché toglieva ogni potere agli enti locali. Questo accordo, pur avendo molte criticità, dovrebbe garantire autonomia e potere ai sindaci, regioni ed enti locali nel contrasto al gioco d’azzardo. Potremmo giudicare nel concreto se questa svolta è positiva dopo il 31 ottobre, quando il Ministero dell’Economia emanerà un decreto che dovrà attuare questo accordo. Stando alle buone intenzioni, ci sono, e sono state messe per iscritto. Sono abbastanza ottimista perché se il decreto dovesse andare in un’altra direzione verrebbe tradito tutto il patto. A ottobre comincia a essere in discussione anche la legge di bilancio dello stato, ed è un momento delicato. Ma Baretta, sottosegretario al Mef che ha gestito l’accordo da parte del Governo, ha dichiarato che ci sarà il decreto e recepirà in toto l’accordo».

Una critica annunciata: le aziende di gioco hanno ancora troppo potere, cosa ne pensa?

«È vero, anche se forse dopo l’accordo ne hanno un po’ meno di prima. Il potere resta grande delle corporation che solo sul fronte legale muovono più di 95 miliardi di euro all’anno in Italia (ovvero le somme che i cittadini buttano nel gioco). Se si considera che il traffico di stupefacenti nel suo complesso è stimato intorno ai 12 miliardi di euro in Italia, capiamo di cosa parliamo: il potere resta immenso. Questo accordo non è frutto della buona politica o di un cedimento delle lobby, ma del fatto che ci sia stata una forte pressione sociale che ha fatto prendere atto di come sul terreno le coscienze delle persone, le associazioni e il mondo del no profit siano molto presenti. Abbiamo eroso un pochettino il sistema, ed è un primo passo».

Come si combatte invece il gioco online? E come limitare la pubblicità?

«L’azzardo online si struttura proprio perché costruisce un immaginario attraverso la pubblicità, molto piò di quello offline. Agire sulla pubblicità significa colpire una parte del problema, perché si combatte l’induzione al consumo. Le società che operano con l’azzardo online sono quelle che pongono più resistenza al divieto totale di pubblicità che è stato chiesto dall’Europa, sul modello del fumo o dei superalcolici. L’azzardo online passa sugli stessi veicoli con cui chattiamo, telefoniamo, usiamo i social, ovvero i telefoni, paradossalmente sempre più utilizzato (si pensi alle dichiarazioni del Ministro Fedeli, che ha detto che in classe può essere tollerato lo smartphone): serve dunque controllo ed educazione. Online c’è un problema specifico, perché un minore può usare il conto di un genitore, a volte possono giocare insieme: rispetto ad altri sistemi, però, c’è una tracciabilità totale, che deve essere messa a vantaggio della tutela della salute. Il Ministero dell’Economia conosce tutte le transazioni economiche online legate al gambling: questi dati vanno utilizzati per la prevenzione e il contrasto. La partita è da giocare sulla cultura, sull’educazione e sulla consapevolezza».

Immagine: via Pixabay