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La terra è rotonda e prima o poi ci si incontra

Nadia Urbinati, accademica, politologa, giornalista è titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York e visiting professor alla Bocconi di Milano; come ricercatrice si occupa di pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Dopo la decisione dei capigruppo del Senato di non calendarizzare lo «Jus Soli», Riforma.it l’ha raggiunta telefonicamente a New York per rivolgerle alcune domande.

Urbinati, nell’appello che avete lanciato pochi giorni fa, e purtroppo non recepito dai senatori della Repubblica, si chiedeva al mondo della politica, delle istituzioni e della società civile, di essere saggi e di sostenere la legge che concede la cittadinanza per «jus soli»; e di farlo in un periodo in cui «siamo tutti figli della confusione fra patria ed esilio». Ci interessa la sua opinione, anche dal momento che risiede negli Stati Uniti ormai da tanti anni.

«Da emigrata devo dire che, la cosa più importante per persone come me è sentire di essere accettate, di avere la possibilità di integrarsi nel nuovo paese di residenza. Questo vale soprattutto per chi è nato nel paese di emigrazione scelto dai genitori; i bambini nati in Italia non possono pagare per una scelta che non hanno fatto, non possono essere considerati non-italiani pur parlando perfettamente la lingua, frequentando le scuole e avendo una sola e unica vita civile e affettiva, quella che hanno in Italia. Questo è semplicemente crudele oltre che ingiusto».

Eppure chi «gioca» la politica nelle aule parlamentari non sembra pensarla come lei e tanti altri italiani; alla prova dei fatti non sappiamo se e quando, la legge verrà messa in calendario e approvata.

«Purtroppo è così. Ed è anche poco lungimirante perché alimenta negli immigrati, e anche nei bambini, un risentimento che sarà duro a morire. Mi sembra che sull’onda di un audience che ogni giorno che passa si mostra più sensibile ad argomenti di esclusione, e diciamo pure “fascista”, questa scelta del Senato, in particolare, è sbagliata anche sotto il profilo politico, perché sembra dare ragione a chi vuole equiparare lo “jus soli” alle politiche delle frontiere».

Cosa le viene in mente quando sente parole quali: «esilio», «cittadinanza», «patria», più volte utilizzati nell’appello di sensibilizzazione che avete lanciato?

«Che i paesi occidentali dovranno adattarsi a diventare multietnici, anche perché sono i veri responsabili di quel che, oggi, lamentano. Hanno colonizzato e sfruttato le risorse dei paesi dai quali molti ora scappano a causa di guerre e miseria. E se fino a qualche decennio fa gli occidentali varcavano con gli eserciti le loro frontiere per colonizzare e asservire, oggi la direzione del movimento si è invertita. E questa inversione ha senso, perché se non sono i beni ad andare nei paesi poveri, i poveri andranno a cercare quei beni di cui hanno bisogno dove questi sono; beni come la pace, la libertà dal dominio, e l’opportunità di una vita migliore. La terra è rotonda e prima o poi ci si incontra; la terra è di tutti e le frontiere create dagli Stati non marcano alcun diritto di proprietà».