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I cristiani di Gerusalemme preoccupati per le violazioni dello Statu quo

Con una dichiarazione congiunta i patriarchi e i leader delle chiese cristiane di Gerusalemme tornano ancora una volta sulle presunte violazioni dello “Statu quo” nei luoghi santi. Il riferimento è alla recente sentenza della corte distrettuale di Gerusalemme su una vicenda alquanto pasticciata, legata alla vendita ad una società privata ebraica da parte dell’ex patriarca greco-ortodosso Ireneos di tre edifici appartenenti alla chiesa. Vendita che non sarebbe stata autorizzata, che è stata impugnata da Teofilo III, successore di Ireneos, destituito proprio a seguito di tale vicenda. Ora la sentenza ha dichiarato legittimo l’atto di vendita.

Da qui le vibranti proteste dei responsabili delle chiese cristiane dell’area che vedono in ciò «un tentativo sistematico per minare l’integrità della Città Santa di Gerusalemme e della Terra santa, e indebolire la presenza cristiana. Le nuove azioni sono una chiara infrazione dello Statu quo. La sentenza che consideriamo ingiusta, nonché un disegno di legge che se così approvato andrebbe a limitare i diritti delle chiese sulle loro stesse proprietà, sono attacchi aggiuntivi ai diritti che lo Statu quo ha sempre garantito».

Lo Statu quo è un decreto emanato dal governo dell’impero ottomano nel 1852 che regola i diritti di proprietà e di accesso delle comunità cristiane all’interno dei santuari della Terra Santa, e cioè il Santo Sepolcro e la tomba di Maria a Gerusalemme, e la basilica della Natività a Betlemme. A seguito di varie conferme nel corso degli anni il documento è oggi considerato un dato di fatto acquisito, ed ogni cambiamento va, andrebbe, preso di comune accordo fra le parti in causa.

I leader religiosi affermano ancora nel testo che «una comunità cristiana dinamica e vivace è un elemento essenziale nella composizione della nostra società così diversificata, e le minacce non possono che acuire le tensioni inquietanti emerse in questi momenti difficili» e vedono nella sentenza e negli atti politici in corso un tentativo di appropriarsi di spazi all’interno della città vecchia da parte delle comunità ebraiche, nel tentativo di ampliare la propria presenza e di ridurre di conseguenza quello delle altre religioni.

Si tratta della terza volta in pochi mesi in cui le chiese cristiane a Gerusalemme denunciano quelle che ritengono essere strategie per estrometterle dal contesto locale. Ma a preoccupare è anche come dicevamo un disegno di legge presentato alla Knesset sui diritti delle chiese rispetto alle loro proprietà. Anche qui il caso parte dal passato e da vicende di acquisizioni di terreni per sfociare in una proposta che vorrebbe limitare ai cittadini israeliani la possibilità di acquistare immobili in Gerusalemme, con la motivazione ufficiale di voler evitare speculazioni e pericolose presenze da parte di paesi stranieri. Ma con il rischio, paventato dai responsabili cristiani, di limitare ulteriormente gli spazi per i non ebrei in città.

Tutto ciò accade alla vigilia della Settimana mondiale per la Pace in Palestina e Israele dal 21 al 28 settembre, voluta dal Consiglio ecumenico delle chiese per sollecitare istituzioni religiose e uomini di fede ad adoperarsi con azioni, preghiere, attività a livello globale per spingere ad una soluzione pacifica del conflitto in corso. Non proprio il miglior viatico per iniziare quest’anno.

La lettera, che cliccando qui si può leggere integralmente, è firmata dal patriarca greco-ortodosso Teofilo III, dal patriarca della Chiesa apostolica armena ortodossa Norhan Manougian, dall’amministratore apostolico del Patriarcato latino monsignor Pierbattista Pizzaballa, dal custode della Terra Santa padre Francesco Patton, da monsignor Anba Antonius del Patriarcato copto-ortodosso di Gerusalemme, da monsignor Swerios Malki Mourad del Patriarcato siro-ortodosso, da monsignor Aba Embakob del Patriarcato etiopico ortodosso, da monsignor Joseph-Jules Zerey del Patriarcato melkita, da monsignor Mosa El-Hage dell’Esarcato maronita, da monsignor Souheil Dawani della Chiesa episcopale di Gerusalemme e del Medio Oriente, da monsignor Munib Younan, vescovo della Chiesa evangelica luterana di Giordania e Terra Santa, da monsignor Pierre Malki dell’esarcato siro cattolico e da monsignor Georges Dankaye dell’Esarcato armeno cattolico.

Immagine: via Pixabay