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Dossier immigrazione, qualche anticipazione

In Italia, a fronte di una presenza immigrata attestatasi nell’ultimo biennio sui 5 milioni di residenti stranieri, le principali appartenenze religiose vedono oltre 1,5 milioni di musulmani e altrettanti cristiani ortodossi, poco meno di 1 milione di cattolici, 340.000 tra induisti, buddhisti, sikh (concentrati questi ultimi in Lombardia e nel Lazio) e fedeli di altre tradizioni religiose orientali, oltre 250.000 evangelici e fedeli di altre chiese cristiane, 220.000 atei e agnostici e quindi altri gruppi minori. Questi, in sintesi, sono alcuni dei dati emersi dal Dossier Idos-Confronti che sarà presentato a fine ottobre a Roma.

Il pluralismo religioso, è uno degli aspetti più rilevanti della società italiana ed è stato approfondito con diversi capitoli nel Dossier Statistico Immigrazione 2017 che da 27 anni propone una stima ragionata di dati statistici sul fenomeno migratorio e sulle appartenenze religiose degli immigrati, quest’ultima, rafforzata da quando il Centro Studi e Ricerche Idos si è avvalso della cura del rapporto annuale e dell’esperienza in materia del Centro Studi Confronti, una realtà ecumenica e interreligiosa che opera nell’ambito dell’intercultura e del dialogo interreligioso ed ecumenico sin dagli anni Settanta – dapprima con la pubblicazione Com Nuovi Tempi, nata dalla fusione di due testate: Com delle Comunità di base e Nuovi Tempi delle chiese protestanti e diventata poi Confronti nel 1989.

«Sulla base dei dati che abbiamo raccolto oggi è possibile condurre una lettura più equilibrata della realtà – ha rilevato a Riforma.it il direttore di Confronti, Claudio Paravati –, anche dopo il susseguirsi dei drammatici attentati che impropriamente si richiamano all’islam».

Un Dossier importante e sostenuto attraverso i fondi Otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi: «Da più di vent’anni il Dossier Statistico Immigrazione costituisce un prezioso punto di riferimento per chiunque si occupi di immigrazione nel nostro Paese. Questo grazie alla capacità di fornire, anno dopo anno, i dati aggiornati, nazionali e regionali, di un fenomeno tanto complesso qual è quello migratorio – sostiene il moderatore della tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini. Con lo strumento che il Dossier rappresenta è possibile contrapporre alle paure della società la realtà dei dati e questo è di estrema importanza per l’Italia che è un paese al centro dei flussi migratori, tanto in entrata quanto in uscita. Ridimensionare tali paure, e smascherare l’infondatezza delle tesi che parlano di “invasione”, “colonizzazione culturale”, “scontro tra Civiltà”, è oggi un compito fondamentale».

Infatti, contrariamente a quanto talvolta si è detto, dagli anni ’90 ad oggi, è risultata sempre infondata la teoria di un’invasione di musulmani, rilevano le anticipazioni del Dossier: «La loro incidenza – si legge – è equivalsa in maniera costante a circa un terzo delle presenze immigrate, salvo nella metà degli anni ’90 quando raggiunse pochi punti percentuali al di sopra. La composita comunità islamica ha il suo perno in Africa, con oltre il 50% dei membri (a partire dai marocchini e, a seguire, gli immigrati provenienti da Egitto, Tunisia e Senegal), ma sono importanti anche altre provenienze, sia europee (Albania) che asiatiche (Bangladesh e Pakistan). L’incidenza dei musulmani fra gli stranieri residenti conosce il picco del 40% in Emilia-Romagna e Trentino-Alto Adige. Invece, la loro incidenza rispetto alla popolazione straniera residente in Italia si aggira sul 3%, un valore inferiore al 4,5-5% stimato a livello Ue e al 7,5% della Francia».

Si tratta indubbiamente di una presenza significativa ma senz’altro lontana dalle ricorrenti «sopravalutazioni»: viene loro, infatti, attribuita un’incidenza sui residenti del 20%, secondo un’indagine svolta nel 2016 da Ipsos Mori e secondo le proiezioni del Pew Research Center, prestigiosa struttura statunitense, a metà secolo i musulmani in Europa non dovrebbero superare il 10% dei residenti, mentre in Italia secondo, secondo i dati emersi dal Dossier, potrebbero raggiungere il 6%.

Infatti, in alcuni casi le differenze religiose «sono soprattutto “portate” dall’immigrazione (comunità islamica, ortodossa, religioni orientali), mentre in altri casi questa è andata a sommarsi a presenze già radicate (comunità dei cattolici, dei protestanti e dei Testimoni di Geova). In questi gruppi – dice ancora il Dossier – si riscontra sia il modello di aggregazione religiosa di stampo “etnico”, sia quello interculturale, che unisce nella pratica religiosa i nuovi venuti agli autoctoni: ad esempio, in alcune chiese valdesi e metodiste del Nord-Est l’incidenza degli immigrati arriva fino al 60% dei fedeli.

I cristiani, pari al 45% dell’intera presenza immigrata fino al 2000, sono diventati la maggioranza assoluta nel 2007, anno dell’adesione di Romania e Bulgaria all’Ue. In alcune regioni (Lazio, Molise, Basilicata e Calabria) essi superano il 60%».

In quest’ultimo quarto di secolo i cambiamenti più significativi, dunque «sono avvenuti all’interno della presenza cristiana. Al momento, in tutte le regioni (fatta eccezione per la Lombardia e la Liguria), gli ortodossi, in prevalenza originari dei paesi dell’Est Europa (ma anche inclusivi di una componente di copti egiziani) superano i cattolici (in prevalenza filippini, polacchi e romeni). Tra gli evangelici si segnalano ancora i romeni, insieme ai nigeriani e ai ghanesi. I cattolici, inizialmente più numerosi degli stessi musulmani, sono stati superati dagli ortodossi nel 2004. Attualmente i cattolici incidono per circa un quinto su tutti gli immigrati e gli ortodossi per circa un terzo, mentre l’incidenza degli evangelici è del 5%. È di origine europea il 98% degli ortodossi, il 57% degli evangelici e il 44% dei cattolici. Per i cattolici e i protestanti sono rilevanti anche le provenienze dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina)».

La tesi sostenuta da Idos e Confronti sul pluralismo religioso è che esso non può essere considerato «terreno di conflitto», bensì «un incentivo alla convivenza pacifica – prosegue Paravati –. Un atteggiamento positivo e orientato al reciproco riconoscimento deve impegnare tanto le istituzioni che la popolazione, anche per quanto riguarda l’ampliamento delle Intese, la disponibilità dei luoghi di culto, che sono anche centri importanti per la socialità e l’integrazione; le iniziative di dialogo, i sussidi operativi come il Vademecum realizzato nel 2013 dal Ministero dell’Interno-Direzione Centrale per gli Affari dei Culti, le consulte e i tavoli interreligiosi nei vari contesti territoriali, la previsione di appositi interventi negli ospedali, nelle carceri, nei cimiteri».

Un esempio significativo, di quanto appena detto, lo si è visto nel mese di febbraio 2017, quando tutte le organizzazioni, cui fanno capo le moschee in Italia, hanno accettato l’invito del Ministero dell’Interno a far parte di un Consiglio per un Islam italiano, rispettoso del contesto repubblicano e delle sue leggi.

La strategia, ricorda il Dossier, consiste nell’opporre al terrorismo islamista la più netta dissociazione dei leader religiosi, e dei fedeli che ad essi fanno riferimento, perché Dio non può essere invocato per uccidere: «Nell’indagine “Religione all’italiana”, condotta all’inizio di questo decennio dal prof. Franco Garelli – dicono Idos e Confronti –, la risposta più ricorrente (69%) alla domanda relativa al giudizio sul pluralismo religioso è stata che esso costituisce una causa diretta di conflitti. Un pessimismo ancora più diffuso è riscontrabile al giorno d’oggi a seguito degli attentati a sfondo religioso e perciò è indispensabile recuperare il concetto di religione come strumento di pace e valorizzare le prospettive d’integrazione e di convivenza».

Per informazioni: www.confronti.net e www.dossierimmigrazione.it

Immagine: via Pixabay