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A 500 anni dalla Riforma, cattolici e protestanti sono ancora così diversi?

Il PEW Research Center, società con sede a Washington che si occupa di sondaggi e studi sociali, ha presentato i risultati di un’indagine sulle differenze teologiche in Europa occidentale e Stati Uniti. Dalla ricerca emerge una sostanziale similitudine di visioni fra protestanti e cattolici su molti temi riguardanti la fede, la grazia, la Bibbia, le opere, la Riforma e gli insegnamenti della chiesa. «Mentre i protestanti celebrano il 500° anniversario della Riforma, le nuove indagini ci dimostrano che sia in Europa occidentale sia negli Stati Uniti le differenze teologiche che divisero il cristianesimo occidentale nel 1500 sono diminuite in una misura che avrebbe potuto sconvolgere i cristiani nei secoli passati» così esordisce il PRC nell’analizzare i dati.

La metodologia di indagine ha visto due diversi approcci in Europa occidentale (dove sono state effettuate interviste telefoniche a 24.599 persone in 15 paesi) e negli Stati Uniti (dove l’indagine è stata condotta online tra 5.198 partecipanti). Poco più della metà dei protestanti statunitensi (52%) afferma che sono necessarie buone azioni e fede in Dio per “entrare in paradiso”, una posizione storicamente cattolica. Il 46% sostiene che sia sufficiente la sola fede per ottenere la salvezza (uno dei quattro principi fondamentali della Riforma: sola Scriptura, solus Christus, sola Gratia, sola Fide). Anche in Europa emerge la stessa tendenza, e dati simili riguardano chi sostiene che la Bibbia fornisca tutte le istruzioni religiose di cui un cristiano ha bisogno. Il 52% dei protestanti americani intervistati sostiene che i cristiani dovrebbero cercare la guida dagli insegnamenti e dalle tradizioni della chiesa, oltre che dalla Bibbia (una posizione tradizionalmente cattolica). Solo il 30% di tutti i protestanti statunitensi afferma che sono sufficienti la sola Fide e la sola Scriptura. Altro dato significativo, per cattolici e protestanti dell’Europa occidentale: c’è un livello relativamente alto di disaffiliazione (per fare due esempi, il 15% in Italia, fino al 48% in Olanda, sono le percentuali di chi si descrive come ateo, agnostico o “nulla in particolare”; ma, fra i protestanti praticanti olandesi, la percentuale di quelli che pregano quotidianamente (58%) e frequentano la chiesa ogni settimana (43%) è la più alta in Europa. In tutti i paesi europei, sia protestanti sia cattolici dicono di essere disposti ad accettare membri dell’altra tradizione come vicini o familiari.

Ne parliamo con Gabriella Lettini, pastora valdese, decana della Facoltà Starr King School for Ministry – Graduate Theological Union a Berkeley in California, dove insegna Etica teologica. Lettini si interessa, fra l’altro, di sincretismo, teologia femminista, religioni e interculturalità. . Fra le altre cose, dirige il Dipartimento per il ministero pubblico alla Starr King School for the ministry, Graduate Theological Union di Berkeley (California). Tra le sue pubblicazioni, “L’allergia all’Altro”, sulle prospettive teologiche contemporanee relative all’alterità e ai modelli egemonici di costruzione dell’identità.

Dalla ricerca sembrerebbe emergere un certo analfabetismo religioso; può confermarlo?

I risultati della ricerca PEW sono interessanti, anche se mi rimangono molte domande sulla metodologia stessa. Il modo in cui vengono poste le domande ha grande influenza sulle risposte. La composizione demografica dei campioni di studio è altrettanto rilevante. Sicuramente, sembra esserci un certo analfabetismo teologico. Allo stesso tempo, mi pare importante notare che sia un bene che non ci siano più le stesse divisioni che hanno creato conflitti così profondi e poco “evangelici” tra Protestantesimo e Cattolicesimo. Le teologie sono risposte umane al mistero della fede, e come tali sono sempre parziali, contestuali e relative. Penso che in parte questa ignoranza dottrinale sia il fatto che per molte persone il linguaggio dottrinale del passato non sembri più rilevante alla loro fede nel presente. Per molti credenti, poi, essere cristiani non si esprime necessariamente nella fedeltà ad una dottrina, ma nel seguire la chiamata di Cristo nella vita di tutti i giorni, nel modo in cui trattano il prossimo e si fanno promotori di pace e giustizia. L’occidente teologico cristiano ha dato molto valore all’ortodossia, ma per molti credenti, in tante parti del mondo, la fede si esprime soprattutto nell’ortoprassi. Le teologie della liberazione si sono fatte portavoci di questa posizione.

Esiste una distanza fra devozione, spiritualità e rituali dei popoli e i discorsi teologici e accademici?

Penso che l’elaborazione teologica accademica debba essere vista come una delle tante espressioni della teologia. Certi credenti possono essere ignoranti delle teologie tradizionali, ma non per questo il loro modo di vivere la fede e di interrogarsi su di essa ha meno valore. Mi piacerebbe che la teologia accademica si sviluppasse in modo più organico come teologia della comunità, con vero dialogo tra credenti e teologi e teologhe.

In ambito teologico e dogmatico, quanto sono, ancora, importanti i concetti di sola Scriptura, solus Christus, sola Gratia, sola Fide?

Credo ogni comunità di credenti debba darsi questa risposta, in modo organico e contestuale. Per me, si può seguire Cristo e anche essere eredi della Riforma senza usare queste categorie, o almeno senza usarle in modo tradizionale. Ad esempio, il concetto di sola scriptura andrebbe riveduto. Forse dovremo parlare di centralità della scrittura, per essere più coerenti con il nostro modo di relazionarci alla Bibbia. La ricerca PEW ci fa vedere come siano le correnti evangelicali più conservatrici, e non i Protestanti delle chiese storiche, a parlare di sola fede e sola scriptura. Molti di loro stanno offrendo supporto all’ideologia per nulla cristiana del presidente Trump. Personalmente preferisco la creazione di nuovi linguaggi teologici che ci aiutino ad essere più vicini al messaggio di amore e giustizia del vangelo, alla fedeltà a categorie che non sono necessariamente più così rilevanti o sono magari diventate problematiche.

Secondo lei, c’è qualche problema nelle chiese riformate (ma anche cattoliche) nell’approccio alla fede, alla lettura della Bibbia, all’approfondimento in generale?

Per me credo il problema principale sia il fatto che il Cristianesimo sia spesso stato complice, se non istigatore, di alcune fra le più grandi atrocità della storia del mondo. Solo pensando agli ultimi 500 anni, abbiamo la conquista coloniale e il genocidio nelle Americhe, la tratta degli schiavi africani, l’apartheid e la segregazione razziale, l’anti-semitismo, la giustificazione della discriminazione e della violenza contro le donne e le persone omosessuali e transessuali, lo sviluppo del capitalismo. Com’è stato possibile che le teologie dell’Occidente “Cristiano” non siano riuscite ad offrire un correttivo a queste aberrazioni della fede Cristiana? Forse ci sarebbero dovute essere altre questioni al centro del pensare teologico.

Immagine di Pietro Romeo