anna_saluzzo

L’Italia ha un futuro grazie agli stranieri

Un mondo che si muove e società che cambiano di conseguenza. La XXVI edizione del rapporto di Caritas italiana e Fondazione Migrantes, presentato mercoledì a Roma, è come sempre una miniera di dati che fotografano i cambiamenti delle realtà in cui viviamo.

Intanto i dati a livello globale: sono 243,7 milioni le persone che vivono in un paese differente da quello in cui sono nati, un numero in crescita esponenziale negli ultimi 25 anni. In Europa sono 37 milioni, il 7,3 % della popolazione. Le nazioni che accolgono più migranti sono gli Stati Uniti, la Germania, la Russia, l’Arabia Saudita. L’Italia è all’undicesimo posto.

Il nostro paese è sempre più multiculturale con ben 198 nazionalità differenti rappresentate, in pratica tutte. Sono 5 milioni gli stranieri, l’8,3% della popolazione, e questo cambia piano piano la composizione delle famiglie: calano infatti i matrimoni fra stranieri (- 5,9%) e aumentano quelli misti (nel 2015 sono stati il 14% di tutte le nozze celebrate). La presenza straniera compensa in parte il continuo calo demografico, grazie soprattutto alla presenza dei giovani studenti, e qui i dati rendono plasticamente chiara l’urgenza di una norma di dignità come lo Ius Soli: sono 814 mila gli alunni stranieri nelle scuole del nostro paese, pari al 9,7% del totale. Di questi, il 58,7% è nato in Italia, ma secondo le normative vigenti ragazze e ragazzi devono attendere il compimento dei 18 anni per fare richiesta di cittadinanza, con tutti i disagi che ciò nel mentre comporta.

I diciottenni che fanno domanda per divenire cittadini del nostro paese crescono di anno in anno, erano 10 mila nel 2011, sono 66 mila nel 2015.

Le differenze proseguono al momento dell’ingresso del mondo del lavoro. Gli inattivi, i giovani non impegnati né nello studio né nel lavoro sono il 25% fra gli italiani dai 15 ai 34 anni, percentuale che cresce al 35% fra i maschi stranieri e si impenna fino al 47% fra le donne straniere. Quasi una su due non studia e non lavora, rimane in casa.

Se poi lavorano, gli stranieri svolgono solitamente mansioni non qualificate ( il 36,5 dei migranti contro il 7,9% degli italiani), i famosi lavori “che non vogliamo più fare”. Ciò si riverbera anche nella retribuzione mensile media che per un italiano è di 1.356 euro e per uno straniero di 965 euro. Le cause sono da cercare nel mancato riconoscimento dei titoli di studio ottenuti nel paese di origine ( il 66% degli stranieri svolge una mansione inferiore alla sua qualifica contro il 20% degli italiani), e nella ancora bassa frequenza delle università italiane, anche se anche in questo caso i numeri crescono, e la percentuale di non italiani nei nostri atenei cresce dal 3,7% al 5% in un anno, soprattutto romeni, albanesi e cinesi.

Tutte queste contraddizioni e difficoltà di gestione di un fenomeno in atto si riverbera anche nella composizione della popolazione carceraria. Il 34% dei detenuti è infatti straniero, moltissimi per reati legati allo spaccio di stupefacenti, in un paese che ancora attende una legge moderna in materia.

Immagine di Anna Lami