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Una semplice traduzione?

Seguendo l’esempio delle sorelle francese e belga, anche la chiesa cattolica della Svizzera francofona adotterà presto la nuova traduzione del Padre Nostro. La decisione è stata presa nel corso dell’assemblea ordinaria della Conferenza episcopale svizzera (Ces) tenutasi dal 29 al 31 maggio scorsi a Einsiedeln.

Ufficialmente la nuova versione, più vicina al testo originale, entrerà nell’uso dal prossimo 3 dicembre, prima domenica di Avvento, in Svizzera come in Francia, ma la notizia ha immediatamente aperto il dibattito.

La nuova versione sostituirà quella in uso ormai da mezzo secolo, frutto dell’ondata ecumenica seguita al Concilio Vaticano II, uniformandosi alla nuova traduzione francese della Bibbia del 2013. Un passo indietro o un passo avanti nel percorso ecumenico?

Da parte della Federazione delle chiese protestanti svizzere (Feps), più che il contenuto del testo, si lamenta la scelta unilaterale da parte della Chiesa episcopale elvetica, che ha preso la sua decisione mettendo la «controparte» protestante di fronte al fatto compiuto. Le chiese protestanti dei cantoni francofoni avrebbero voluto essere coinvolte nella riflessione, ma allo stesso tempo vogliono mantenere un approccio ecumenico costruttivo, per evitare che esistano due Padre nostro, uno cattolico e uno protestante. La questione resta dunque aperta.

Da parte cattolica, la Ces riconosce che con il nuovo testo si pone una questione ecumenica: non è strano che i cattolici svizzeri abbiano voluto uniformarsi ai fratelli francesi e belgi, ma allo stesso tempo rivendicano il percorso ecumenico fatto finora insieme alla Feps e la speranza di poter raggiungere un accordo che permetta di pregare insieme, con le stesse parole.

Il nodo della questione, che insieme alle conseguenze a livello ecumenico comporta profonde implicazioni teologiche, riguarda la diversa traduzione del verbo eisfero, che da «ne nous soumets pas à la tentation» dovrebbe diventare «ne nous laisse pas entrer en tentation».

Una profonda differenza, analoga a quella che si trova nell’italiano fra non indurci in/non esporci alla tentazione, dove nel primo caso sembra che sia Dio a indurre l’uomo al peccato, mentre nel secondo si fa riferimento all’atto protettivo di Dio nell’impedire all’uomo di cadere nel peccato. Ne scriveva un mese fa su riforma.it il pastore Eric Noffke, professore di Nuovo Testamento alla Facoltà valdese di Teologia di Roma, descrivendo la situazione italiana, alla vigilia della pubblicazione della Bibbia della Riforma in occasione dell’anniversario della nascita della Riforma protestante: anche il gruppo di lavoro su questa nuova traduzione biblica si è confrontato sulla spinosa questione, e le proposte avanzate sono state diverse… a dimostrazione che una risposta definitiva (probabilmente) non ci sarà mai.

Immagine: via Pixabay