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Riuscirà la teologia a occuparsi nuovamente dei problemi della collettività?

Il teologo Henri Mottu ritiene che la teologia non riesca più a pronunciare delle parole che coinvolgano anche la sfera politica. Avendo appena pubblicato un libro sulla figura del teologo americano Reinhold Niebuhr (Reinhold Niebuhr. La lucidité politique d’un théologien américain. Ed. Olivétan – di Niebuhr ricordiamo due opere tradotte in italiano per opera di evangelici: Fede e storia. Studio comparato della concezione cristiana e della concezione moderna della storia, trad. di Franco Giampiccoli, Il Mulino, 1966; Una teologia per la prassi. Autobiografia intellettuale, trad. di Massimo Rubboli, Queriniana, 1977), ne parla in un’intervista all’agenzia svizzera Protestinfo. Interpellato da Caroline Amberger, Mottu (autore in passato anche di due libri pubblicati dall’editrice Claudiana: Religione popolare in un’ottica protestante. Gramsci, cultura subalterna e lotte contadine, in coll. con M. Castiglione, 1977; e Geremia: una protesta contro la sofferenza, 1990) è professore onorario di Teologia pratica all’Università di Ginevra, e risponde innanzitutto alla domanda generale se esistano ancora, oggi, dei «teologi politici».

«Non ci sono più personalità in grado di pronunciare delle parole profetiche – afferma – come furono Karl Barth e Reinhold Niebuhr. La teologia sta diventano molto “pensante” e questo è un problema, mentre essa dovrebbe rimanere critica rispetto al discorso politico. L’ultima teologia politica è stata la teologia della liberazione. Gustavo Gutierrez era partito da un problema particolare, quello dei “senza voce” e della povertà. Ha riletto l’intera Bibbia, reinterpretato i profeti dell’Antico Testamento, il sermone sul monte. Noi non siamo più capaci di partire da un problema preciso per universalizzarlo e ricavarne una rilettura della Bibbia. Le generazioni più giovani dovrebbero ravvivare la fiamma, e io non so da dove potrebbero partire».

Nel prosieguo l’intervista si concentra sulla scelta di Niebuhr come caso emblematico. «Niebuhr teneva molto alla questione dell’etica politica – risponde Mottu a Protestinfo –: suo principale tema era come fosse possibile superare l’individualismo protestante, allora molto in auge negli Usa (…). Il cristianesimo ha ancora qualcosa da dire sul piano della collettività, e come, e a quali condizioni? Questa è stata la domanda di Niebuhr per tutta la sua vita e mi rendo conto che è anche la mia (…)».

L’intervista tocca poi un altro tema che coinvolse Niebuhr, quello della guerra. «Non c’è mai per lui guerra giusta – spiega Mottu –: ma a volte (come eccezione) una guerra necessaria. Bisogna rapportarsi al contesto degli anni 1930-40». E più avanti: «Niebuhr era pacifista in gioventù, ma a poco a poco ha ritenuto che un intervento armato contro Hitler non potesse essere messo in discussione. All’epoca gli americani non avrebbero voluto impegnarvisi militarmente. Lottare contro Hitler ci sembra ovvio oggi, ma non era scontato allora. Niebuhr ha visto nell’avvento di Hitler al potere un problema universale, e ha avuto ragione». Quello della guerra necessaria è fra l’altro uno dei temi che hanno portato Niebuhr a essere uno degli autori cari a Barack Obama nel corso dei suoi due mandati presidenziali, rispetto, per esempio, a un eventuale intervento in Siria. Pur avendo sostenuto il teologo l’intervento contro Hitler, al contrario – spiega Mottu – «si oppose all’intervento americano in Vietnam». «L’etica cristiana – conclude – cambia a seconda dei contesti in cui viene enunciata (…). Non si tratta di dire: adattiamoci a qualunque circostanza del momento, e nemmeno di proclamare dei principi assoluti. Bisogna attenersi strettamente al comandamento: che cosa devi dare tu, qui e ora?».