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Il mondo è la mia parrocchia

La Consultazione metodista si è conclusa ieri, domenica 28 maggio, a Velletri presso il Centro Ecumene, con la celebrazione del “culto del rinnovamento del patto”: una tradizione questa tutta metodista, e d’altra parte non può che essere così.

Sono infatti le chiese metodiste italiane – che da più di quarant’anni sono unite a quelle valdesi in un patto d’integrazione- a ritrovarsi annualmente in consultazione, per affrontare difficoltà, condividere i buoni risultati, e soprattutto, per affinare la propria visione di testimonianza e missione.

«Non possiamo non aprire i nostri lavori senza volgere un pensiero di tristezza e dire una parola di condanna per quanto accaduto in questi ultimi giorni. – ha detto la pastora Mirella Manocchio, presidente del Comitato permanente delle chiese metodiste – Mi riferisco all’attentato di Manchester che ha falcidiato volutamente delle giovani vite, all’ultimo dei tanti, troppi, naufragi di barconi nel Mediterraneo in cui sono morti uomini, donne e bambini e all’attentato ad un piccolo convoglio di pellegrini copti in Egitto».

Ad ascoltare queste parole c’erano un centinaio di rappresentanti delle varie comunità; dalla chiesa di Milano a quella di Napoli; dal tacco dello stivale al centro di Roma. In un clima di aperta franchezza e condivisione ognuno ha usato parole dirette per analizzare le condizioni ecclesiastiche dei nostri tempi, ma anche quelle sociali e politiche del nostro Paese.

D’altra parte il “mondo è la mia parrocchia”, diceva John Wesley, fondatore del metodismo, e oggi quel “mondo” è sempre più globalizzato. Come dunque deve cambiare il nostro testimoniare in questo, nuovo, mondo? Questa è probabilmente la domanda chiave che soggiace alla riflessione di queste piccole ma tenaci chiese. E la risposta data è quella di ribadire l’Evangelo come centro della propria esistenza, dando così forza alla propria azione contro la corruzione, la sofferenza e l’illegalità.

Non sono mancate dunque anche le testimonianza delle chiese locali come quella di Padova, di Napoli e Rapolla – tra le altre – le cui comunità hanno creato vere e proprie “chiese rifugio” per persone richiedenti asilo lasciate in mezzo alla strada. Piccoli gesti questi che incidono però sulle comunità locali, e fungono da sentinella affinché la politica mantenga forte coscienza della realtà sociale, con le proprie sofferenze.

Infine le chiese metodiste continuano a esprimere una convinta spinta verso l’integrazione di chi si è trovato a migrare nella propria storia di vita. La chiesa metodista di Milano conta tra i propri membri decine di nazionalità di provenienza diverse, così come altre chiese in giro per l’Italia vedono crescere – non senza fisiologiche difficoltà – il grande progetto di “essere chiesa insieme” con chi proviene dall’Africa, dall’Asia, dalle Americhe.

In questo insieme di progetti di vita globali, e di testimonianza locale, le chiese metodiste hanno infine celebrato il culto, come detto, “del rinnovamento del patto”. Per essere sì pronti a dire ancora una volta “manda me”, senza dimenticarsi al contempo che si tratta non di una propria affermazione, bensì della semplice risposta a una chiamata. E che si esprime nel “mondo come mia parrocchia”.