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Il clima che cambia nel Mediterraneo

Il 24 maggio un’altra imbarcazione si è ribaltata nel Mediterraneo vicino alle coste libiche, facendo più di trenta morti e centinaia di dispersi. Nel frattempo il Ministero dell’Interno ha rivelato che i migranti arrivati in Italia sono già il doppio di quelli dell’anno scorso nello stesso periodo. La guardia costiera libica qualche giorno fa ha riportato sulle proprie coste un gommone in viaggio verso l’Italia e ha ricevuto l’accusa – da parte di alcune Ong che prestano soccorso – di aver sparato sui migranti in occasione dell’intercettazione di un’imbarcazione. Le persone continuano ad arrivare e per ora le coste siciliane sono da evitare per l’incontro del G7 a Taormina. Ne abbiamo parlato con Alberto Mallardo, operatore dell’osservatorio sulle migrazioni Mediterranean Hope (della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia) presente a Lampedusa.

Come avete seguito gli aggiornamenti del mare di questi ultimi giorni?

«Lampedusa è un luogo strano, perché molte notizie sembrano arrivare filtrate dalla distanza che ci separa dal continente. Al contrario, però, sull’isola si riescono a percepire più chiaramente i segnali che arrivano dal mare. La Libia qui non è un paese lontano, ma uno dei lembi di terra più vicino a noi. Sabato e domenica abbiamo incontrato l’equipaggio di una delle navi private che svolgono i recuperi, la Iuventa. Abbiamo ascoltato i racconti dei volontari dell’equipaggio e guardato alcuni video sui loro cellulari, che ci hanno direttamente trasportato in mezzo al mare. Il loro lavoro consiste nel portare salvagenti prima che arrivino i soccorsi: durante una di queste operazioni, pochi giorni fa sono stati abbordati da una nave che ha sparato diversi colpi d’arma da fuoco, interrompendo le operazioni di recupero. Un centinaio di persone si sono gettate in mare per fuggire da questo pericolo. In un altro episodio, durante un’operazione di recupero, probabilmente a causa dello spostamento dei migranti sull’imbarcazione, molti sono caduti in mare. Molte le vittime, tra cui 10 bambini. Abbiamo assistito all’arrivo di alcuni profughi bagnati, tremanti, senza vestiti: probabilmente alcuni erano appartenenti a questo naufragio, ma non ne siamo ancora sicuri. Io ho chiesto personalmente a uno di loro che mi ha confermato questa versione. Questa notte ci sono stati altri due sbarchi e oggi arriveranno altre 120 persone: la Sicilia al momento è off-limits per via del G7, quindi molte persone vengono dirottate altrove, probabilmente Taranto e Cagliari. Lampedusa sta facendo la sua parte, sono circa 500 le persone arrivate in questa settimana».

In relazione agli spari dei giorni scorsi da parte di imbarcazioni libiche, credete che il clima nell’area stia peggiorando o è troppo presto per dirlo?

«Crediamo di sì, anche noi siamo di questo avviso. Resta difficile capire esattamente cosa succede in mare, ma sembrerebbe che le navi di Frontex si fermino a 50 miglia dalle coste libiche, mentre sono le navi private (autorizzate dal Coordinamento della guardia costiera di Roma) ad andare più avanti: questo però significa che spesso queste imbarcazioni restano sole ad affrontare gli arrivi, in special modo quando le altre tornano in Sicilia e ne restano pochissime, spesso non in grado di gestire queste emergenze. La guardia costiera libica è supportata dall’Italia, che a gennaio di quest’anno ha firmato un’intesa per contrastare l’immigrazione irregolare: sono 90 i funzionari libici che hanno già completato l’addestramento e 4 motovedette sono state consegnate, in attesa di altre 6. Si parla di un piano che prevede 10 nuove ambulanze, 24 gommoni, 30 jeep, e altro equipaggiamento per un costo di 800 milioni di euro. Sono anni che l’Italia finanzia la Libia, ma ciò nonostante la Libia non è considerato un luogo sicuro, per esempio per i funzionari europei che fanno gli incontri in Tunisia».

Evidentemente questi protocolli hanno degli effetti pratici anche in mare…

«Medici senza frontiere ha affermato di avere forti timori che l’Italia stia cercando di venir meno all’obbligo di proteggere i migranti facilitando l’intercettamento di queste persone da parte delle autorità libiche. Si inserisce all’interno di un quadro complesso che va dalle missioni militari in Ciad e Niger, passa per la Libia e arriva al mare. Possiamo pensare che si tratti di una strategia complessa, è impossibile fermare il flusso dei migranti in Libia ma si cerca di farlo in altri modi».

Immagine: via Twitter, dal fondatore dell’ong Moas, Chris Catrambone