valli

Narrare i valdesi, parlare di Dio

Qualche tempo fa si è tenuto a Torre Pellice un dibattito il cui scopo era di mettere a confronto alcuni dei tanti possibili accenti con i quali i valdesi si raccontano.

Narrare i valdesi, dunque, e come? Mentre ascoltavo i vari interventi, ho provato a scrivere quante volte era pronunciata una data parola. Trattandosi di racconto, ovviamente la parola più frequente è stata storia (36 volte) seguita da narrare (32), poi valdese (24), memoria (8), territorio (6), percorso (4) progetto (4). Soltanto 6 volte la parola chiesa e cenerentola la parola fede (2).

Dio mai nominato. Forse sottinteso?

Ma è possibile narrare i valdesi senza mettere al centro la fede in Dio, vissuta come certezza del suo aiuto che è più forte di ogni persecuzione e grazie al quale si resiste al nemico che massacra, ma anche a quello suadente che promette vantaggi in cambio dell’abiura?

Parlo della fede come fiducia nel Signore: la forte rocca su cui fondiamo la nostra vita (la stessa di Lutero. «La forte rocca è il mio Signor, il difensor verace…chi in sè confida perirà .. Ma il Padre un uomo ha scelto già che lotta in nostro aiuto… Egli è il Signor Gesù… Lui sol ci salverà e l’Avversario abbatterà», cantiamo al n.45 dell’Innario cristiano.

Nel tempio di Prali, l’unico rimasto in piedi durante l’esilio dei valdesi, dopo averlo ripulito dagli “idoli” della messa cattolica, nella penultima tappa del Rimpatrio, il capitano Enrico Arnaud celebra il primo culto di nuovo alle Valli. Commentando il Salmo 129, il pastore «cerca di far percepire ai suoi il senso dell’avventura che stanno vivendo: essi sono tornati nella loro terra perché la trincea protestante dev’essere riconquistata, affinché la predicazione dell’Evangelo torni ad essere presente nel Piemonte cattolico» (Giorgio Tourn).

Già lo studente Reynaudin, autore del Diario del Rimpatrio lo aveva scritto: «Non si può raccontare quello che abbiamo sofferto, sulle montagne: ma il pensiero di tornare al nostro paese per ristabilirvi il regno di Gesù Cristo e distruggere quello degli idoli e dell’Anticristo riaccendeva il nostro zelo».

Questa volontà sarà ribadita a Sibaud ( 11 settembre 1689 ) nel ben noto “ giuramento” ( il Giuro che si canta in tutte le chiese al XVII febbraio) cioè un Patto di unione: «Iddio, per la sua divina grazia, avendoci felicemente ricondotti nel paese dei nostri padri, per ristabilirvi il puro culto della nostra santa religione, continuando e compiendo la grande impresa che questo gran Dio degli eserciti diresse fin qui così divinamente a favor nostro: noi pastori capitani e altri ufficiali giuriamo e promettiamo al cospetto di Dio, pena la dannazione delle nostre anime, di serbare fra noi l’unione e l’ordine … quand’anche per sventura ci vedessimo ridotti a tre o quattro.

E noi soldati promettiamo e giuriamo dinnanzi a Dio di ubbidire agli ordini di tutti i nostri ufficiali… fino al’ultima goccia del nostro sangue».

Per tornare all’incontro sulla narrazione dei valdesi, è questa consapevolezza (che sarà ripresa nell’ Ottocento dal Beckwith : «o sarete missionari o non sarete nulla») che va messa in evidenza; se l’Eterno eserciti – per usare i termini dell’ AnticoTestamento – è colui che guida, che protegge , che solleva ( lo storico Alexis Muston parlerà dei valdesi come Israel des Alpes) essa non potrà essere taciuta, ma bisognerà saperla distinguere senza equivoci in mezzo a integralismi, teocrazie, vecchi e nuovi “Dio lo vuole”.

In un panorama come quello del nostro paese, dove domina l’ignoranza religiosa e la laicità è una sconosciuta (in primo luogo nella scuola e fra gli insegnanti), le religioni sono percepite tra due estremi : da un lato, si afferma che sono più o meno tutte uguali , perchè in tutte si parla di Dio e di amare il prossimo, di fare del bene (quindi ne basterebbe una sola per tutti..) ; dall’altro estremo le religioni sono considerate inesauribile fonte di divisioni, guerre, massacri in nome di Dio, anzi del “vero” Dio che ciascuna ritiene essere il suo.

E’ un fatto che nel nome di Dio i cristiani hanno organizzato crociate , nel nome di Dio missionari hanno cancellato culture dei popoli nativi per “evangelizzarli”, donne e uomini sono stati bruciati sul rogo dalla Santa Inquisizione, bambini sottratti alle famiglie valdesi per essere “cattolizzati”, nel nome di Dio si sono sganciate bombe benedette da cardinali (Vietnam), nel nome di Dio (Allah) i militanti dell’Isis massacrano migliaia di persone e decapitano gli “infedeli”. E gli ufficiali delle SS naziste avevano scritto sul cinturone “Dio con noi” ( Gott mit uns…).

Eppure, se Dio non può essere rinchiuso nel sermone domenicale o nei libri di teologia o nelle preghiere, allora il nostro “narrare” i valdesi, la storia valdese dovrà parlare di Dio e di ciò che ha fatto per noi. Dobbiamo parlare di Dio, di Dio che ci protegge, ci difende, ci sgrida, ci abbatte, ci rialza, ci benedice . Dobbiamo farlo senza mai confondere o mescolare le nostre azioni sulla terra, nella storia, di cui portiamo la totale responsabilià, con la Sua Parola.

Certo dei trecento valdesi che dalla Svizzera arrivarono a Bobbio Pellice dal Col Giulian, una buona parte probabilmente pensava prima di tutto a riprendersi la terra, la casa, l’heritage des nos pères. Poi a ricostruire i templi. Pochi avevano consapevolezza di essere chiamati a vivere la “santa religione” nel Piemonte cattolico.

Oggi, cinquecento anni dopo il 2017 dai sola gratia, sola fide, sola scriptura, solus Christus, soli Deo gloria, che consapevolezza abbiamo?

La diaconia, la solidarietà, l’accoglienza rappresentano un diffuso impegno in molte chiese, vissuto intensamente spesso in modo ecumenico e con la partecipazione di molti giovani. Qui c’è indubbiamente una dimensione di speranza. E tuttavia noi siamo incapaci di amare veramente il prossimo e se una riconciliazione avviene non è perchè siamo buoni ma perché in quell’incontro con l’altro è presente anche il Cristo. Dio soltanto si è fatto altro da sè e prossimo nostro nel dare il suo unico Figlio, crocifisso per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione.

Perciò siamo definitivamente liberati da ogni ansia di auto-realizzazione e possiamo liberamente spenderci per gli altri e per migliorare il nostro mondo. E’ Lui che ci sostiene, Lui che non diviene mai possesso nostro o della nostra chiesa, Lui che è il fondamento che non tollera nessun fondamentalismo, sia esso musulmano, ebreo o cristiano. Lui che fin qui ci ha soccorso ( 1 Samuele 7,12).

Quando ci raccontiamo come valdesi, a noi, ai nostri amici,ai figli, ai cattolici , quando parliamo della nostra storia, forse questo fondamento della fede riformata dovrebbe essere indicato con maggiore forza e chiarezza. Non ci sono solo i nostri progetti, ma c’è anche un progetto di Dio per noi. Senza otto per mille.

Cerchiamolo nella bibbia, nella preghiera, nella comunità.