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In Francia l’appello dei cappellani per una diminuzione del numero di carcerati

Un tasso di popolazione carceraria e di sovraffollamento mai raggiunti in Francia, le dimissioni del nuovo direttore dell’Amministrazione penitenziaria, il rifiuto della direttrice della casa di detenzione di Villepinte di accogliere un ulteriore detenuto a fronte di un numero già presente maggiore del 200% rispetto alle possibilità della struttura. Tutti segnali di un fallimento generale delle politiche carcerarie francesi degli ultimi 15 anni. Un tema che è entrato con forza nella campagna elettorale in corso, dato anche il numero di arresti legati allo stato di emergenza proclamato dopo gli attentati del novembre 2015 a Parigi.

Per la prima volta nella storia lo scorso primo Aprile la popolazione carceraria in Francia ha superato quota 70 mila (+ 2,7% in un anno), a fronte di una capacità massima di 58500 posti. In Italia è in calo costante da anni, dopo vari richiami europei per un surplus inaccettabile, e conta oggi circa 54 mila detenuti (erano ben 68 mila nel 2010) a fronte di 49600 posti disponibili.

I cappellani carcerari di tutte le religioni si sono quindi uniti in un appello unanime e di forte impatto, ripreso dai principali quotidiani d’oltralpe, per chiedere una riduzione del numero di detenuti di almeno 15 mila unità.

Per Véronique Fayet, Presidente del “Secours Catholique”, Jean-François Penhouet, cappellano generale cattolico, Brice Deymie, cappellano generale protestante, ospite al Sinodo valdese nel 2015, Alain Senior, cappellano generale ebraico, Hassan El Aloui Talibi, cappellano generale musulmano, la soluzione sta nell’interrompere le tendenze che si sono cristallizzate negli anni, quali l’abuso della carcerazione preventiva e la riduzione delle pene alternative. «Eppure – si legge nel testo congiunto – in questo tempo di campagna presidenziale, anche se è chiaro che questi dispositivi hanno fallito, senza aver abbassato il tasso di criminalità, i candidati propongono non solo di rinnovarli e estenderli, ma anche di aumentare la capacità delle carceri di numeri varianti fra i 15 mila e i 40 mila nuovi posti. Di fronte a questa demagogia irresponsabile e pericolosa, è urgente affrontare con pragmatismo il problema della sovrappopolazione carceraria con l’obiettivo di ridurre di almeno 15 mila unità le presenza in strutture detentive».

Come? Le ricette proposte dai cappellani religiosi mirano soprattutto a «ridurre l’incarcerazione per le pene inferiori ad 1 anno a meno del 25% (oggi sono il 36%), a limitare l’uso della carcerazione preventiva a meno del 20% (oggi è oltre il 33%). In secondo luogo è necessario ridefinire la scala penale dei reati minori, prevendendo misure alternative quali multe e altri obblighi amministrativi o nei confronti della collettività. In terzo luogo è necessario un ripensamento generale del luogo carcere, che non va più inteso come terreno di esclusione, punizione e umiliazioni, quanto piuttosto come luogo privilegiato per il reinserimento sociale, ampliando e rafforzando tutti quei soggetti esterni (scuole, associazioni culturali, di assistenza sociale e economica) che possono intervenire in aiuto della popolazione, prima di giungere all’estremo del carcere ( il 60% dei detenuti sono soggetti sotto al soglia di povertà, senza mezzi economici, scolastici o sociali). Politiche di prevenzione e integrazione sociale sarebbero il miglior rimedio contro buona parte della delinquenza comune».

Non manca certo una riflessione sull’attuale offerta carceraria: «è essenziale rinnovare gli edifici esistenti, promuovere l’apertura delle celle durante il giorno, intervenire per un’assistenza educativa, sportiva, culturale e lavorativa dei detenuti. Tutte misure che si riveleranno assai meno costose della costruzione di nuove carceri e che dovrebbero re immettere in società un individuo non più pronto a delinquere».

Da qui la decisione dell’appello comune che si chiude con toni critici nei confronti della campagna elettorale in corso: «La politica è una cosa troppo seria per essere lasciata nelle mani dei politici. Ecco perché noi, attori impegnati nella società civile, ci appelliamo ad un’etica della responsabilità affinché siano bloccati i progetti di costruzione di nuovi centri di detenzione. E’ necessario fare delle prigioni non più un luogo di esclusione, ma di ricostruzione, di donne e uomini che al di là degli errori commessi rimangono esseri umani».

Immagine: Di Flaminio Sergio – rete degli archivi per non dimenticare, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3481507