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L’ecumenismo e il suo bisogno di spessore storico

Nei giorni 28 aprile – 1° maggio si è svolto a Torre Pellice il Convegno di primavera 2017 del Segretariato attività ecumeniche (Sae): «Sulle vie della Riforma: Wittenberg e le valli valdesi», il titolo. A Convegno concluso ne abbiamo parlato con il presidente del Sae, il biblista Piero Stefani di Ferrara.

Stefani, l’ecumenismo ha incontrato il protestantesimo a Torre Pellice?

«L’ultimo incontro del Segretariato attività ecumeniche (Sae) ha voluto trarre ispirazione dal Cinquecentenario della Riforma protestante e dunque tenere l’incontro in una delle “Città della Riforma”, Torre Pellice in provincia di Torino, immersa tra le Alpi Cozie e “patria” della chiesa valdese. Il titolo scelto è stato: “Sulle vie della Riforma: Wittenberg e le Valli Valdesi. Memoria e attualità dell’ecumenismo”. Quella valdese, infatti, è la più longeva tradizione riformata, sviluppatasi già prima del percorso luterano, e che decise di aderire al pensiero riformato svizzero ed europeo».

Ci spiega che cos’è il Sae?

«Il Segretariato attività ecumeniche è un’associazione laica e interconfessionale, costituitasi formalmente in associazione sotto la presidenza della fondatrice, Maria Vingiani. Dal 1964 organizza ogni anno una Sessione estiva di formazione ecumenica, cui si affianca un convegno primaverile, più breve della sessione estiva, dedicato a un tema – complementare alla sessione o da essa indipendente – di generale orientamento ecumenico o di specifico interesse teologico e culturale. I convegni di primavera si svolgono di volta in volta in una diversa località italiana, scelta possibilmente in una zona ove siano attivi gruppi locali del Sae. Durante il convegno, prassi ormai da anni, si tiene anche l’Assemblea ordinaria dell’associazione».

Quali temi avete affrontato?

«Tra storia e cronaca, mettendo in luce il dialogo e le diverse sfaccettature del protestantesimo europeo; una discussione davvero interessante è stata affidata al professore emerito della Facoltà valdese di Teologia Sergio Rostagno e al prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, monsignor Francesco Buzzi, moderati dal direttore di Riforma; domenica 30 aprile, dopo il culto domenicale presso il tempio valdese di Torre Pellice, è stata la pastora valdese Maria Bonafede a raccontarci l’esperienza del progetto pilota in Europa dei “Corridoi umanitari”, un’idea ecumenica nata dall’incontro tra la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), la Comunità di Sant’Egidio e la Tavola valdese. Si è poi indagato su tematiche tipicamente luterane leggendo e commentando “Il Lutero di tutti i giorni” insieme a Giulio Maisano del Sae e al pastore Marcello Salvaggio. Una serata è stata allietata da una rappresentazione teatrale Li Valdés proposta dal Gruppo Teatro Angrogna».

In merito ai temi ecumenici e al rapporto con il protestantesimo, che cosa è emerso?

«Una bella Tavola rotonda ha fatto emergere innanzitutto le esperienze concrete di dialogo; come si diceva l’esempio più importante è la buona pratica dei “Corridoi umanitari”; significativa la presenza di due ospiti siriani ha arricchito il dibattito e fatto comprendere quanto sia importante l’attenzione e il lavoro delle chiese evangeliche e cattoliche insieme. Sono anche emersi alcuni nodi che ancora non si è riusciti a sciogliere, come quello dell’intercomunione e infine si è parlato di catechesi e di solidarietà. Dunque, in pochi giorni, abbiamo affrontato un arco temporale che, dal passato al presente, sotto il termine “Riforma” comprende non solamente la storia ma tutto l’impegno concreto dei credenti».

Qual è la percezione nell’Italia di oggi delle chiese evangeliche e protestanti: il suo è un osservatorio privilegiato?

«Da un lato le chiese storiche protestanti sono riconosciute concordemente come contributo fondamentale per la re-interpretazione del cristianesimo, anche da parte cattolica, come ha testimoniato l’incontro a Lund con papa Francesco; restano come dicevamo però alcune questioni che, malgrado questi passi ecumenici in avanti, restano irrisolte, come – già sottolineato – l’intercomunione. Malgrado le numrose collaborazioni e le amicizie messe in essere, non è ancora possibile condividere la “stessa mensa”. L’ecumenismo, per sua natura, ha bisogno di spessore storico e alcune questioni possono essere esaminate, interpretate e comprese solo attraverso la storia. Questi limiti all’azione comune sono ancor più stridenti oggi se si pensa all’azione concreta e condivisa quotidianamente a livello ecumenico».

Quali sono i progetti del Sae in futuro?

«L’attività è scandita da appuntamenti classici come la sessione di formazione ecumenica, quella prevista per fine luglio ad Assisi ad esempio, e che sarà la “seconda puntata” del tema “Tradizione, Riforma e profezia nella vita delle chiese”; l’anno passato ci si è soffermati di più sulla “tradizione”, quest’anno affronteremo nello specifico la Riforma. Poi a lungo termine un’altra ipotesi saràquella di dare particolare attenzione a un tema molto presente ma poco affrontato nel quotidiano: le chiese di fronte alla ricchezza e alla povertà. Poi vorremmo parlare, sempre ecumenicamente, della catechesi: insomma una questione importante e dirimente per la formazione giovanile».