madres-fundadora-oct2006

Noi, madri partorite dai nostri stessi figli

Due madri argentine si incontrano, si riconoscono. Entrambe hanno figli desaparecidos. Parlano di loro al presente, con la certezza incrollabile che siano ancora vivi. Presto alle due madri se ne aggiungono altre, poi altre ancora. Si riuniscono per la prima volta in Plaza de Mayo il 30 aprile 1977 e di lì iniziano le loro marce di protesta. Il libro di Cesare Bianco* ci racconta la coraggiosa storia di queste donne che riescono a trasformare il dolore individuale in resistenza collettiva, spostando il loro orizzonte dalle quattro mura claustrofobiche della casa allo spazio pubblico della piazza. Per resistere, ma anche per denunciare. Per capire, ma anche per non perdere la speranza.

Reclamano verità e giustizia, dando inizio a un processo che verrà continuato dai fratelli e dai figli dei desaparecidos, in un circolo di fecondazione e rifecondazione che ha la sua origine nell’idea di essere state «partorite dai propri figli». «Loro sono scomparsi – dicono – e siamo venute al mondo noi madri». Con la lotta politica, le madri infatti prendono consapevolezza di chi fossero i loro figli e dei loro ideali, e facendoli propri danno corpo alla loro voce per contrastare l’oblio. Anche quando avranno conferma che i figli sono morti, il loro motto diventerà aparicion con vida, ossia il rifiuto di accettare passivamente la morte senza aver ottenuto risposte.

Le tematiche al centro del romanzo sono sapientemente racchiuse in una cornice dialogica in cui l’ex prete argentino Alberto Torres, stretto collaboratore delle madri e con una storia personale di rapimento e tortura alle spalle, si reca a Roma per incontrare il cardinale Riccardo Barrera, suo vecchio amico, alla vigilia del nuovo conclave dopo la morte di Giovanni Paolo II. L’intera narrazione è così filtrata da un ulteriore sguardo, quello di Alberto Torres; tuttavia, se lo sguardo delle madri è uno sguardo immerso nel presente, il suo è rivolto contemporaneamente al passato e al futuro. Torres pone a se stesso e al cardinal Barrera una serie di domande scomode sul ruolo e la complicità della chiesa con i militari, fino a sostenere che la chiesa sia stata «l’unica madre ad aver abbandonato i suoi figli». Sempre nell’ottica di verità e giustizia che era già propria delle madri, il colloquio dell’ex prete con il cardinale ha come scopo ultimo da una parte impedire la salita al soglio pontificio a uno dei suoi carnefici, dall’altra gli permette di liberarsi di un terribile segreto che da troppo tempo gli opprime il cuore.

La scrittura di Cesare Bianco affronta con delicatezza la vicenda delle madri insieme a quella dei figli, narrandoci gli orrori della dittatura videliana attraverso lo sguardo dei protagonisti, che hanno un forte valore paradigmatico ma sono anche intimamente radicati nel racconto. I personaggi che si susseguono, si intrecciano e si rincorrono man mano che la trama si dipana hanno una doppia forza ed esercitano un doppio fascino sul lettore, in quanto ogni storia individuale è testimonianza di un avvenimento storico e ogni episodio storico non è più fatto solo di numeri, ma si concretizza in nomi, volti, pensieri ed emozioni.

* C. Bianco, Lo sguardo delle madri di Plaza de Mayo, Reggio Emilia, Imprimatur, 2017, pp. 288, euro 17,00.

Immagine: De Roblespepe – Trabajo propio, GFDL, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3559708